I pontieri del defunto Terzo Polo tentano l'ultima e disperata carta per far cessare la guerra tra Matteo Renzi e Carlo Calenda. Enrico Costa (Azione) e Luigi Marattin (Italia Viva) firmano un appello pubblicato da Repubblica, auspicando la ripresa del percorso per la costruzione del partito unico. «Fino ad oggi abbiamo combattuto insieme in Parlamento e sui territori per la costruzione di una comunità liberal-democratica, popolare e riformista che offrisse agli italiani un'alternativa solida, strutturale ai populisti di entrambi gli schieramenti. Lo abbiamo fatto con passione, con convinzione, con quell'entusiasmo che stava nascendo dal basso e che stava creando i presupposti per la nascita di un progetto di lungo periodo. Tutto questo non solo è stato bruscamente interrotto, ma ha anche subito un consistente danno di immagine dalle modalità traumatiche con cui lo strappo si è consumato», scrivono Marattin e Costa. Appello che cade nel vuoto. E sono gli stessi firmatari della lettera ad ammettere il flop dell'iniziativa. Riscontri alla lettera? «Zero assoluto», confessa al Giornale Enrico Costa. La guerra va avanti. Calenda e Renzi affilano le armi per la resa dei conti. L'opzione principe, accarezzata dai pontieri, è un doppio passo indietro: Renzi e Calenda fuori, per affidare le chiavi del Terzo Polo a un terzo nome. Anche se Costa al Giornale nega: «Se siamo qui è solo grazie a Carlo Calenda. Dovrebbero riconoscerlo chi propone soluzioni alternative». L'opzione è però sul tavolo. Il passo indietro di Renzi e Calenda spianerebbe la strada alla leadership di Mara Carfagna. Un altro indizio rafforza questa ipotesi: il malumore crescente tra i parlamentari di Azione per la mossa di Calenda di mandare all'aria in 48 ore un progetto politico. «Spiazzati dalla giravolta improvvisa, la politica è mediazione e sintesi. Con questi colpi di testa non avremo vita lunga», confida un parlamentare di Azione al Giornale. E Carfagna potrebbe essere il punto di equilibrio per rimettere in moto il progetto. Soprattutto perché all'orizzonte ci sono le elezioni europee. E sia Azione che Italia Viva rischiano di non superare lo scoglio dello sbarramento fissato al 4 %.
Un ostacolo che innesca l'esodo verso altri partiti: Pd e Forza Italia in primis. Possibilista sullo scenario di un doppio passo indietro (Renzi e Calenda) è Marattin che sembra smarcarsi dalla linea barricadiera di alcuni renziani: «Sono ancora convinto che il progetto di partito unico abbia un futuro perché non coincide con i suoi protagonisti, è una esigenza storica. Se con questi protagonisti il tentativo non è andato a buon fine, l'esigenza storica rimane ed è quello a cui vogliamo lavorare. La costruzione di quella comunità è stata schiaffeggiata da quanto è successo in questi giorni. Sui territori quella comunità il partito unico già lo stava vivendo e lo vuole continuare a vivere. Non può essere sacrificata per questioni che non sono sicuro abbiano a che fare con la politica». Marattin getta acqua sul fuoco.
Meno disponibile a riaprire il dialogo con Azione è il capogruppo al Senato Raffaella Paita che ieri in un'intervista al Giornale ha attaccato Calenda sulla svolta
giustizialista: «Le parole di Calenda di ieri ricordano il livore dell'antiberlusconismo di Marco Travaglio, non certo quelle di un leader liberale». Parole che diventano missili contro la mediazione tentata da Costa e Marattin.
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