Isolato ma in sella: l'ultima metamorfosi del "rivoluzionario" diventato conservatore

Da "Jupiter" a contestato, il presidente ha azzardato e (per ora) passa all'incasso

Isolato ma in sella: l'ultima metamorfosi del "rivoluzionario" diventato conservatore
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Si è aggrappato come un koala alla desistenza, scrutando dall'Eliseo le mosse altrui. Pochi meriti, per Emmanuel Macron, se non quello di tenere il punto. Sette anni di potere pressoché assoluto: a metà tra Stato e Dio. Un po' capo ultrà e un po' sacerdotessa vestale. Talvolta troppo filosofo, e con poca capacità di incidere, specie nell'ultima fase, sui reali bisogni del Paese. È stato «Jupiter», il presidente che scagliava frecce dell'Olimpo; poi contestato dalle piazze (e anche dai suoi dopo l'azzardo di sciogliere l'Assemblée). Ed è infine sceso giù, di un qualche gradino, sconfessato dal ruolo di frontman della sua compagine in piena campagna elettorale ma non del tutto da elettori «sudditi» di un sistema a doppio turno.

Si può perfino dire che abbia vinto, Macron, restando in sella; certo un bel po' ammaccato. Chiedeva conferme. Arrivate, ma non per lui. Macron non riesce più a capire i francesi. Né a farsi capire. Anche stavolta l'hanno accusato: di aver rubato l'estate alla Francia col voto anticipato. Eppure anche stavolta in un certo senso ha vinto la sua scommessa, sornione, perdendo decine di seggi e regalandoli alla France Insoumise sua acerrima nemica, ma vedendo un risultato dei lepenisti al di sotto delle loro aspettative. Il voto premia chi ha tentato assalti all'Eliseo, chi lo ha contestato negli ultimi anni, in cui Macron è sempre rimasto lì: in un'overdose di comunicazione «pedagogica» da cui si è disintossicato solo dopo la batosta presa al primo turno, piombando in un silenzio di speranza, e con i suoi disposti a votare a quel punto per i mélenchoniani pur di non far vincere Rn.

E ora? Non sconfitto, ma isolato. Quel caos ingenerato se lo trova in casa, dentro «Ensemble», l'ennesimo nome dato a una compagine nata come movimento trasversale nel 2016: si chiamava allora En Marche, espressione di lui stesso fino all'arrivo del giovane premier Attal, che ora proverà a risollevarla. Da solo o quasi. È il caos che fa «vincere» Macron? O sopravvivere? Forse, se si pensa che innestò la sua candidatura quando il neogollista Fillon fu travolto dagli scandali occupando spazi e rompendo gli schemi classici.

Quella che doveva essere la nuova classe dirigente sul territorio, formata da società civile, mescolata a generazioni di preparati economisti e prof come consiglieri, è però nel frattempo tornata a far ciò che faceva prima. Sempre meno quelli pronti a sventolarne la bandierina a oltranza, per ore, senza far domande su dove questo avrebbe portato. Allora c'era la fiducia nel leader passato dalla voce tremolante dei primi comizi in casa francese all'Eliseo e a incontri internazionali da protagonista. Anche con Putin, ma come con quel tavolo di quasi 9 metri i suoi interventi risultano spesso controproducenti. Riprenderà a far «pedagogia»? Come spiegherà la quasi certa «palude»? Se il centro macroniano è quasi risorto, non si deve a lui. Tocca forse al premier uscente uscire dalle sabbie mobili. Ieri Attal ha detto che si dimetterà: oggi stesso, per garantire una nuova unione. È l'ennesima presa di distanza dal presidente. Macron è invece passato dalla «Rivoluzione» (suo libro-programma del 2016) che l'aveva portato all'Eliseo tra giovani, rider, enarchi, uniti attorno alla sua idea di Francia un po' start up americana e un po' monarchia, alla conservazione del potere ad ogni costo. Per lui, ieri, niente ghigliottina. Ma sarà lui ancora maître des horloges? A sentire Attal a caldo è piuttosto già iniziato il dopo-Macron: «Mi sono rifiutato di subire la dissoluzione» voluta dal presidente, ha tagliato corto il premier uscente guadagnandosi un posto in prima fila da leader in ascesa. Altri assi non se ne vedono, in Macronie. Né soluzioni per il Paese. Piuttosto una nuova «marmellata». I francesi salvano Attal, non certo il presidente.

Pronti a cercare altrove, non all'Eliseo, quel sapore da leader con cui Macron convinse nel 2017, poi sempre meno dal 2022. Ascoltare la rabbia, ripeteva durante le crisi. Ma forse non era rabbia, quella: piuttosto stanchezza per il suo modus operandi e quelle sue tendenze a relativizzare problemi.

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