Da Grand Old Party a movimento Maga. Da quasi dieci anni il partito repubblicano è progressivamente diventato il partito di Donald Trump. L'ex presidente e prossimo inquilino della Casa Bianca è riuscito a mantenerne il controllo nonostante gli scandali, risorgendo dalle ceneri dopo la sconfitta del 2020 e l'assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, quando era considerato un leader politico finito, abbandonato da tutti, incluso dal suo vice Mike Pence. «Questo è un movimento mai visto prima, il più grande della storia», ha detto Trump nel suo discorso della vittoria al convention center di Palm Beach.
In effetti in quei nove mesi di cavalcata elettorale nel 2016, quando The Donald era il candidato anti-establishment, prima il Gop lo ha osteggiato, tentando di metterlo all'angolo, ma alla fine ne è diventato il leader indiscusso. Nel 2017, entrando per la prima volta nello Studio Ovale, il tycoon portò con sé personaggi dell'establishment tradizionale, ma quando si candidò per la rielezione nel 2020 quelle persone se ne erano andate, soppiantate all'interno dell'amministrazione come all'interno del partito. Una delle acerrime nemiche di Trump, l'ex deputata del Wyoming Liz Cheney, che ha co-presieduto l'indagine della Camera sull'assalto al Congresso del 6 gennaio diventando una feroce critica di The Donald, ha finito per essere estromessa dalle primarie Gop del suo stato due anni fa. Ma a cosa si deve questa enorme forza politica? Inizialmente molti osservatori e analisti liberal hanno attribuito la colpa alla misoginia e alla xenofobia favorite dalla disinformazione. L'allora candidata democratica Hillary Clinton, sconfitta da Trump otto anni fa, pronunciò una frase divenuta famosa, definendo «metà dei suoi sostenitori il cesto degli spregevoli», ossia «razzisti, sessisti, omofobi, xenofobi, islamofobi, e chi più ne ha più ne metta». Parole che non le portarono fortuna, anche se poi si scusò, così come non hanno portato fortuna a Kamala Harris quelle pronunciate (per errore) dal suo boss Joe Biden in questi ultimi giorni, quando ha chiamato i fan del rivale «spazzatura».
Oggi negli Usa è in atto una profonda rivoluzione, e Trump si è confermato come il leader di un movimento trasversale che punta a riportare gli interessi degli americani al centro dell'attenzione e dell'agenda politica. Uomini, ispanici e giovani hanno formato la sua valanga rossa, l'America rurale ne ha spinto la vittoria con una forza maggiore di quanto previsto alla vigilia, e soprattutto nella cosiddetta Rust Belt, cuore dell'industria manifatturiera Usa, gli stati chiave hanno visto sbriciolarsi il muro blu democratico. E il riallineamento a destra degli elettori ispanici e, in misura minore, dei maschi afroamericani - finora bastioni dem - ha catapultato il repubblicano alla vittoria. La piattaforma di Trump 2.
0, rispetto a quella del 2016 e del 2020, ha mostrato uno spostamento notevole rispetto ai temi classici cari ai conservatori: l'aborto, ad esempio, otto anni fa veniva menzionato 50 volte, nel 2024 solo una, poiché si tratta di una questione che Trump voleva spostare in secondo piano. Stessa cosa è avvenuta per altri temi repubblicani tradizionali come i tagli alla spesa per la previdenza sociale e Medicare, il deficit federale, soppiantati da immigrazione ed economia.
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