I rischi per Letta del "filo rosso" Pd-Mps

I rischi per Letta del "filo rosso" Pd-Mps

A Siena si vota per eleggere il deputato del collegio Toscana numero 12. Era il seggio di Pier Carlo Padoan, ex ministro dem dell’Economia che, con un robusto intervento dello Stato (20 miliardi di euro) salvò il Monte dei Paschi dal fallimento. Da un anno circa Padoan è passato alla guida di Unicredit, che oggi è interessata ad acquistare proprio Mps. A correre, per il centrosinistra, è il segretario del Pd, Enrico Letta.

Doveva essere un’elezione “morbida” per il segretario dem ed ex premier in un collegio tradizionalmente favorevole al centrosinistra. Ma l’accelerazione del caso Mps e delle trattative per il passaggio della banca di Rocca Salimbeni a Uunicredit ha svelato sia il potenziale conflitto d’interessi sul caso sia una serie di problematiche politiche che, anche in caso di elezione, Letta non potrà ignorare. E su cui puntano fortemente i suoi avversari per il seggio.

La strana partita tra Pd e Mps

Sembra uno strano gioco dell’oca, dove gira e rigira si finisce per toccare sempre le stesse caselle. Solo che non è un gioco e in ballo ci sono migliaia di posti di lavoro e gli interessi legati ad una delle banche più importanti d’Italia, da sempre feudo del centrosinistra. Qualcuno le chiama “porte girevoli”: entri ed esci in un batter d’occhio, passando da un incarico all’altro, da controllato a controllore, avanti e indietro, come se non ci fosse alcun problema. Intendiamoci, la legge non impedisce a un ex ministro di andare a guidare una banca che, guarda un po’, deve comprare un’altra banca che ha sede nel suo ex collegio elettorale. Però c’è più di una stranezza in una questa vicenda.

Senza dover cadere nella retorica da campagna elettorale, è evidente che una storia simile creerebbe un forte imbarazzo in qualunque paese normale alla forza politica coinvolta.

Tecnicamente l'ipotesi di vendita a Unicredit fu studiata a tavolino durante il governo Conte II, con il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri (Pd). In quel periodo il Governo italiano agevolò il passaggio di Padoan alla presidenza di Unicredit. All’orizzonte c’era già l’operazione Mps, con Palazzo Chigi che vedeva la grande banca di Piazza Gau Aulenti come grande opportunità per far uscire lo Stato da Mps, rispettando i tempi richiesti dall’Ue.

Imbarazzo nel centrosinistra

Letta si è trovato costretto a correre come candidato. Non avrebbe mai potuto rifiutare, per non correre il rischio di passare per codardo, lui e il suo partito. Ma l’imbarazzo è forte, ed è stato tale fin dall’inizio, con la scelta, sofferta, di presentarsi rinunciando al simbolo (un segretario di partito che si candida senza indicare il nome del proprio partito non è cosa da poco), girando il territorio, in lungo e in largo, con le continue lamentele di chi non vuole perdere il controllo sulla banca, che vuol dire non fare “spezzatino”, dividendo Mps in diversi pezzi, facendo il possibile per salvare più posti di lavoro possibile.

Sembrano passati anni luce da quando il Movimento Cinque Stelle scriveva che “il Monte dei Paschi di Siena è stato usato come un bancomat dai partiti, ex Ds poi Pd in testa” (Giacomo Giannarelli, consigliere regionale toscano del M5S e presidente Commissione d’inchiesta Scandalo Monte dei Paschi di Siena). Oggi il M5S preferisce smussare gli angoli, il clima politico a livello nazionale è cambiato e il Pd governa (anche) con il M5S nell’ampia coalizione che sostiene Draghi.

Di certo sono stati fatti diversi errori nel corso degli anni, a partire da quello di acquistare Antonveneta strapagandola, soltanto per piazzare una bandierina politica sullo scacchiere finanziere nazionale. Tra acquisto e passività ereditate Mps si ritrovò sul groppone ben diciassette miliardi di euro, il tutto senza tenere conto della reale situazione dei conti della banca. Cos’è che spinse Mussari, quella famosa notte, a rilanciare l’offerta di Mps per battere quella di Bnp Paribas, che aveva messo sul piatto 8 miliardi? Antonveneta è il “peccato originale” del crac Mps, come l’ha definita anche la Cassazione in una sentenza. Su questo non ci sono dubbi.

Letta e la valenza nazionale del voto

A pochi giorni dal voto Letta cerca di dare la scossa ai suoi, attribuendo al risultato una portata storica: “Penso che questo voto sia la prova generale del bipolarismo dei prossimi 10 anni”. Tipica di una politica italiana in cerca di una vera rotta è la tendenza a drammatizzare gli appuntamenti elettorali, indicati come potenziali cause di palingenesi o punti di non ritorno. La realtà dei fatti è che a scegliere di trasformare il voto di Siena in una contesa asimmetrica di valenza nazionale è stato solo ed esclusivamente il Partito Democratico con la scelta di candidare l’ex presidente del Consiglio. L’avversario più quotato per il seggio, il candidato del centrodestra e imprenditore del vino Tommaso Marrocchesi Marzi, è espressione della comunità locale senese, e Letta, qualora fosse eletto, non potrebbe dimenticare il nesso diretto che vincola territorio e rappresentanti in un collegio uninominale: espressione diretta della cittadina toscana e dell’area circostante, il seggio di Letta sarebbe carico delle promesse e delle dichiarazioni emesse a profusione dall’ex premier su un dossier, quello del Monte, decisivo per Siena ma su cui lo stesso Letta ha dimostrato di non avere piena presa.

Prosaicamente, se sarà eletto Letta non sarà l’artefice del nuovo bipolarismo o un modello politico nazionale: sarà il deputato espressione di un territorio con precise istanze politiche, economiche e sociali dominate dalla crisi Mps. E dovrà farsi carico delle istanze del collegio. Una sfida dura per chi al tempo stesso è segretario di una forza di maggioranza e leader in pectore del campo progressista.

La valenza nazionale del voto è dunque squisitamente asimmetrica: al Pd e ai suoi alleati non basta vincere il seggio, dato che oramai su Letta si è caricata una mole di aspettative legate al futuro di Mps che si intrecciano direttamente con le prossime mosse del governo Draghi e della finanza nazionale. Letta, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio di quel governo Prodi II che nel 2007 diede a cuor leggero via libera e appoggio alla mossa su Antonveneta di Mps, ora a colpi di promesse sulla garanzia dei posti di lavoro e insinuazioni sul futuro acquirente ha di fatto avviato una strategia autonoma e personale, non facente nemmeno capo al Pd, su Mps pur di salvare la campagna elettorale in una fase in cui il dossier sul Monte è in capo al governo Draghi e a quel ministero del Tesoro che ne è principale azionista.

L’imbarazzo politico, dunque, è tutto sul centrosinistra, a testimonianza di un legame ombelicare irrinunciabile per i dem: ma finché il Monte sarà trascinato in questi rodei politici ci sarà davvero poca possibilità di una via d’uscita per la banca e la città. E pensare che possa essere una semplice elezione suppletiva a cambiare le carte in tavola è a dir poco un pensiero ingenuo.

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