Diamanti: seimilasettecentotrentadue, in numeri 6732; perle, aggiungo naturali: duemila, in numero 2000, così il numero dei carati. Trattasi delle «gioie di dotazione della Corona del Regno», come venne definito, nel giorno 5 del mese di giugno dell'anno millenovecentoquarantasei, il passaggio da casa Savoia, nella persona di Falcone Lucifero, ministro della casa reale, alle mani di Luigi Einaudi, in seguito eletto presidente della Repubblica.
Il cofanetto, in pelle, venne conservato nel caveau della Banca d'Italia fino a metà degli anni Settanta quanto la procura di Roma ordinò un controllo dei gioielli, tra collane, orecchini, bracciali, spille e diademi, quello detto Musy, di 292 carati tra volute di perle e diamanti, appartenuto alla regina Margherita passato alla regina Elena e altri monili risalenti all'Ottocento. Nel 1976 vennero dunque rotti i 5 sigilli posti dal ministero della Real casa e i 6 aggiunti dalla stessa Banca d'Italia, la perizia fu affidata alla maison Bulgari che valutò il contenuto dello scrigno due miliardi di lire, prezzo di mercato al quale va aggiunto il valore affettivo e storico per arrivare, stando a Istat, a 300 milioni di euro.
Ora i Savoia chiedono - entro 10 giorni - la restituzione degli averi preziosi, non per tenerli in proprio possesso ma per esibirli pubblicamente, come accade per i gioielli dei Windsor, una delle mete turistiche a Londra. Bankitalia nella lettera di risposta fa melina. Si era tentata una mediazione che però è andata a vuoto, il governo ha altre priorità e discutere di gioielli, pure della monarchia sabauda, rappresentava e rappresenta una questione delicata in questa congiuntura. Vittorio Emanuele e la principessa Maria Gabriella, con Maria Pia e Maria Beatrice, eredi di Umberto II, citano a giudizio Mario Draghi, nella sua funzione di primo ministro e con lui il ministro dell'Economia Franco e, ovviamente, la Banca d'Italia. L'avvocato Orlandi ha spiegato che tali beni non stati confiscati e possono essere considerati «pendenti» un participio presente che si presta anche alla doppia traduzione. Non tutte le gemme erano beni assegnati al re, sono infatti compresi anche doni ricevuti dai Savoia che hanno provveduto ad acquisti personali. Aggiungo che i Savoia, da Maria Josè allo stesso Vittorio e al figlio Emanuele Filiberto, hanno in dotazione altri monili preziosi che fanno parte del loro patrimonio privato, acquistato durante il periodo dell'esilio. Il contenzioso riguarda l'esatta definizione non soltanto sulla titolarità del possesso ma su protocollo della consegna allo stato italiano: fu un deposito? O forse fu una donazione? È storia di avvocati e poi di tribunali.
I gioielli della Corona potrebbero anche essere messi all'asta, la casa Sotheby's ha effettuato l'expertise. Meglio la formula dell'esposizione in museo o affine, con biglietto di ingresso. A beneficio di chi? Altra questione di avvocati.
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