Un atto doveroso, uno sforzo investigativo senza precedenti in un territorio straniero e di fatto ostile: questa è stata l'inchiesta del Ros dei carabinieri e della Procura di Roma sulla morte di Giulio Regeni, culminata con le quattro imminenti richieste di rinvio a giudizio per altrettanti militari dei servizi segreti di Al Sisi. Ma la parte difficile del lavoro non finisce qui. Perché la strada per portare a compimento il processo ai quattro accusati del sequestro e dell'uccisione del ricercatore italiano è ancora irta di ostacoli e di incertezze.
A rendere tutto complicato non c'è solo la impossibilità di portare materialmente gli imputati in aula e di far loro scontare una eventuale condanna, visto l'ovvio rifiuto da parte egiziana di una richiesta di estradizione. Il processo si farà, con o senza di loro: il generale Tariq Sabir e i suoi tre sottoposti (tra cui Magdi Ibrahim Abdel Sharif, accusato di avere partecipato materialmente all'uccisione di Regeni dopo giorni di torture) verranno dichiarati irreperibili: e dalla sua parte la Procura di Roma ha una sentenza della Corte europea che dichiara legittimo il processo in assenza quando si ha la certezza che l'imputato (come è ovvio in questo caso) ne abbia avuto notizia. Ma il vero ostacolo sarà soprattutto condurre un processo basato in larga parte sulle dichiarazioni di testimoni che in aula forse non ci arriveranno mai, e di cui per ora è anche impossibile conoscere l'identità.
Alfa, Omega, Epsilon: sono nascosti dietro lettere greche i nomi dei testi che hanno permesso di ricostruire il sequestro e l'agonia di Regeni. Fino alla richiesta di rinvio a giudizio, il codice consente alla Procura di tenere coperte le vere generalità. Ma al momento di presentare alla Corte d'assise la lista dei testimoni, i nomi dovranno essere svelati: anche solo per acquisirne i verbali, se fosse impossibile portarli fisicamente in aula. Sono nomi di persone che attualmente vivono in Egitto, e che hanno avuto il coraggio di collaborare ugualmente a una inchiesta che puntava contro i piani più alti dello Stato. Dal momento in cui i loro nomi diverranno pubblici, Epsilon e gli altri saranno esposti a rischi incalcolabili.
Per questo il tema della «messa in sicurezza» dei testimoni è oggi al primo posto nelle preoccupazioni degli inquirenti e dei carabinieri. Anche perché non si tratta di prelevare e di mettere in salvo tre o quattro persone, ma interi nuclei familiari che altrimenti resterebbero esposti al rischio di vendette trasversali, tanto più probabili quanto è ormai lampante l'ostinazione con cui il governo egiziano si è impegnato in questi anni per non far emergere la verità.
Ieri sono emersi due elementi che rafforzano questa certezza. Il primo: elementi della National Security che avevano inizialmente negato ogni attenzione verso l'italiano, hanno poi ammesso di avere seguito Regeni: inizialmente hanno parlato di tre giorni, poi hanno ammesso che il periodo è stato più lungo. Sono le attenzioni che si concludono con il fermo illegale di Regeni e la sua chiusura a Lazougly, la struttura dei servizi egiziani da cui non uscirà vivo.
E si scopre
che per nascondere le tracce del pedinamento sono stati fatti sparire persino i video di sicurezza del metrò del Cairo. Gli investigatori egiziani li avevano visti. Poi qualcuno li ha cancellati. Cosa c'era in quei filmati?
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