I sommersi e i salvati. Le elezioni che hanno messo a soqquadro l'Italia hanno anche costituito la personale caporetto di un bel po' di politici appartenenti soprattutto all'establishment governativo. Molti di loro hanno perso la sfida diretta nel proprio collegio uninominale, spesso in modo netto e senza l'uso della Var. In qualche caso il paracadute dei collegi plurinominali, quelli soggetti al meccanismo proporzionale, ha consentito un atterraggio morbido nell'emiciclo di Montecitorio o di Palazzo Madama. Ma altre volte questo salvagente si è rivelato sgonfio e il candidato è affogato con tutta la sua prosopopea.
Il principe di tutti i trombati è Massimo D'Alema, il regista occulto del maggiore flop di questa tornata elettorale. L'ex Baffino è arrivato addirittura quarto nel suo collegio uninominale del Senato a Nardò, nella sua Puglia. D'Alema ha ottenuto appena 10.552 voti, ovvero il 3,90 per cento, distanziatissimo dal candidato eletto, la pentastellata Barbara Lezzi (39,87 per cento) ma anche dall'uomo del centrodestra Luciano Cariddi (35,19) e perfino dall'attapiratissima candidata del Pd, Teresa Bellanova (17,35). Difficile immaginare uno smacco maggiore per l'ex premier, che non potrà contare nelleno sul repêchage con il plurinominale, perché il seggio in quel collegio non scatta. Quindi facciamocene una ragione: D'Alema non farà ritorno a Palazzo Madama dopo un quinquennio di assenza. Quello che sembrava un periodo di riflessione inizia ad assomigliare a un prepensionamento.
Liberi, uguali e trombati. La scheggia della sinistra gruppettara, piena di volti noti e povera di voti, è la compagine nella quale si conta il maggior numero di desaparecidos. Se qualcuno si salverà per il rotto della cuffia, qualcuno è già con la testa dentro il cappio: Pippo Civati, ad esempio, ha fatto male i suoi conti e nel suo collegio, quello plurinominale di Lombardia 2 a Bergamo, il seggio per i liberisti-ugualisti non è scattato. Arrivederci duenque al leader di Possibile. Possibile, mica certo. Ancora in Leu potrebbero restare a casa Arturo Scotto in Campania e Nico Stumpo, quest'ultimo capolista di entrambi i collegi del proporzionale alla Camera in Calabria.
Nel Pd quasi tutti i big usciti con le ossa rotte dal derby uninominale si sono rifatti con la poltrona quasi sicura del plurionominale. Una delle poche vittime illustri è Stefano Esposito, vicepresidente della commissione trasporti, terzo per un soffio, con il 29,41 per cento dei voti, nel suo collegio uninominale al Senato a Collegno, vicino a Torino, dietro alla candidata eletta del centrodestra Roberta Ferrero (32,41 per cento) e alla grillina Elisa Pirro (29,79). Esposito non l'ha presa benissimo: «Con queste elezioni - ha detto - si chiude il mio impegno politico a tempo pieno. Tornerò al mio lavoro in prefettura. Gli elettori hanno dato il loro responso. Ho perso». Châpeau.
Nel Pd fuori anche Lucia Annibali, la donna fatta sfregiare con l'acido dall'ex fidanzato: la sua prova è stata più che onorevole nel collegio uninominale di Parma alla Camera: il suo 30,37 è stato superato dal 35,13 della candidata del centrodestra Francesca Cavandoli. Si tolgono il grembiule pure Francesca Barra, Gianni Pittella e Riccardo Illy. La bella giornalista nel collegio uninominale di Matera, in Basilicata ha preso solo il 17,55 per cento dei voti, asfaltata dal pentastellato Gianluca Rospi (46,29) e superata anche da Nicola Giovanni Pagliuca del centrodestra (26,14). Fuori. Sempre in Lucania Pittella, parte di quel sistema familistico della «Basilicata rossa», è stato eliminato con il 21,37 per cento, che gli sono valsi il terzo posto nel collegio uninominale al Senato che ha visto il successo del pentastellato Saverio De Bonis. Fuori anche lui. Come l'ex sindaco di Trieste e vicepresidente del colosso del caffè Riccardo Illy. Candidatosi come indipendente sotto le insegne dem nel collegio uninominale del capoluogo giuliano al Senato, ha preso il 26,48 per cento finendo dietro Laura Stabile di Forza Italia (39,40).
Qualche escluso eccellente c'è anche nel centrodestra. Il più noto è Roberto Formigoni, ex presidente della Regione Lombardia, capolista nel plurinominale a Milano, Monza-Brianza e Bergamo-Brescia per Noi con l'Italia, che non ha raggiunto la soglia del 3 per cento.
E sorprendentemente anche nel Movimento 5 Stelle ci sono trombati eccellenti. Uno è la «iena» Dino Giarrusso, battuto nel collegio romano del gianicolense da Riccardo Magi (centrosinistra). L'altro è Gregorio De Falco
, il capo della sala operativa della Capitaneria di Porto di Livorno celebre per il cazziatone telefonico a Salvatore Schettino, comandante
della Costa Concordia naufragata: con il 27,05 per cento è stato superato, superato da Roberto Berardi (centrodestra, 33,21 per cento) e da Silvia Velo (centrosinistra, 30,52). Scenda da quello scranno, comandante, ca**o.
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