La rivincita di sacro e tradizione contro la favola del Papa degli atei

L'addio di Francesco non è stato un evento mondano e laico ma la prova che la spiritualità resta fulcro dell'Occidente

La rivincita di sacro e tradizione contro la favola del Papa degli atei
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Fin dalle ore successive alla scomparsa di Papa Francesco avvenuta il lunedì dell'Angelo in pieno periodo pasquale c'è stato un tentativo di desacralizzare la sua figura ridimensionando il fatto che, ad essere scomparso, fosse il leader spirituale della più grande Chiesa al mondo. Così, ascoltando le parole di numerosi opinionisti e leggendo le dichiarazioni di vari esponenti politici, è venuto meno il messaggio religioso del pontefice per lasciare spazio a interpretazioni strumentali e di comodo delle sue parole. Le frasi più in voga usate in questi giorni per commentare la scomparsa del papa sono state «premesso che sono laico» e «parlava ai non credenti». Dietro a queste affermazioni c'è un equivoco di fondo poiché il Santo Padre, pur cercando di fare proselitismo, si rivolge ai cattolici che lo ascoltano in quanto autorità religiosa. Immaginare un pontefice, come lo vorrebbe la vulgata laicista, che parla solo ai non credenti sarebbe, traslando il ragionamento alla politica, come un leader di partito che si rivolge non ai suoi elettori ma a chi non lo vota. Questo approccio è sempre più diffuso ed è figlio di una mentalità modernista che ha espulso il sacro dalla nostra vita.

Già Augusto Del Noce, all'indomani del Sessantotto, denunciava il pericolo di una società secolarizzata ma, dovendo indagare a fondo questa tendenza, occorre arrivare fino alla rivoluzione francese e, ancor prima, a Cartesio. Il razionalismo unito al materialismo (abbracciato dal marxismo) dimentica l'ambito spirituale dell'uomo che è invece un elemento inscindibile della natura umana. Non è un caso che gran parte della riflessione teologica di Benedetto XVI si sia basata proprio su come coniugare fede e ragione.

Eppure il pontificato di Papa Francesco ci ha ricordato quanto nella vita sia importante l'aspetto spirituale, soprattutto nel momento della sua preghiera in una Piazza San Pietro deserta durante il Covid, quando era evidente a ognuno di noi la caducità e la fragilità della vita umana.

Ieri la cerimonia per il suo funerale ci ha di nuovo testimoniato come, in un mondo secolarizzato, l'uomo non possa fare a meno di un lato spirituale con la solennità di un rito che si ripete uguale da secoli attraverso consuetudini, simboli, parole che rappresentano la forza della tradizione. Per questo la ricerca costante del progresso, segno distintivo della modernità, si arresta di fronte al fascino della tradizione immutata nel tempo. La forza della Chiesa cattolica è tutta qui, non nella foga di innovare ma nella capacità di conservare ritualità che si tramandano nei millenni e che oggi, come duemila anni fa, toccano l'anima di ciascuno di noi.

D'altro canto basta rileggere l'incipit della prima enciclica di Francesco «Lumen Fidei» per comprendere quanto la forza della fede abbia guidato il suo pontificato: «La luce della fede: con

quest'espressione, la tradizione della Chiesa ha indicato il grande dono portato da Gesù, il quale, nel Vangelo di Giovanni, così si presenta: Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre».

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