La scelta di optare per l'astensione presa dal centro-destra unito per il quarto scrutinio dell'elezione presidenziale ha un chiaro significato politico che lo differenzia strategicamente dalla scheda bianca. Se alla prova concreta tanto una scheda bianca quanto un'astensione contribuiscono a un abbassamento delle possibilità per un candidato in corsa di venire eletto, la differenza strategica dell'astensione è legata alla natura palese dell'atto.
Il grande elettore che sceglie di astenersi deve pubblicamente esporre la sua scelta davanti al presidente dell'assemblea, in questo caso il presidente della Camera Roberto Fico, e tornare ai propri posti, o in questo caso particolare uscire dall'emiciclo, senza passare dall'urna e ritirare la scheda. Dunque l'atto dell'astensione indica chiaramente, con nomi e cognomi, i volti di coloro che scelgono questa strada, e si distingue dall'anonima scheda bianca proprio per la sua capacità di indirizzo politico.
Un partito o una coalizione che volessero serrare le fila e contare i propri numeri, vedendo anche chi nei propri ranghi fa una palese azione di defezione contro le strategie del corpo elettorale, possono optare per il palese atto dell'assemblea proprio per verificare la presenza di battitori liberi che possono trasformarsi, alla prova dei fatti, in "franchi tiratori" e per contare i "voti liberi" presenti nelle altre formazioni. Testandone in questo modo la compattezza.
La scomparsa di un pacchetto di voti riconducibili a un candidato di disturbo, il calo delle schede bianche, la discesa di numero dei voti dispersi consentono a un gruppo di capire, in forma non deterministica ma certamente tutt'altro che aleatoria, la reale forza del pacchetto di consensi di cui è in grado di mantenere il controllo.
L'astensione è dunque sia una conta che una prova di compattezza e in quest'ottica la via scelta dal centrodestra unito al quarto scrutinio non rappresenta affatto una novità.
La Democrazia Cristiana, in diverse occasioni durante la Prima Repubblica, trovò nell'astensione palese una strategia necessaria per serrare le fila del suo gruppo elettorale per il Quirinale in fasi in cui nomi e opzioni per il Colle venivano affossati nel segreto dell'urna dai franchi tiratori. Stessa cosa fecero anche diversi partiti per testare la loro capacità di influenzare l'elezione del capo dello Stato.
Il primo caso di astensione massiccia nella storia delle elezioni presidenziali fu quello del nono scrutinio del 1964, quando il Movimento Sociale Italiano, il Partito Socialista e il Partito Socialdemocratico non prelevarono la scheda portando il numero di astenuti a 177 in una sola chiamata. Al sedicesimo scrutinio, dopo aver presentato per i primi quindici il nome di Giovanni Leone, fu la stessa Dc a optare per questa scelta, frustrata dall'esplosione dei franchi tiratori contro l'ex presidente del Consiglio, mantenendola anche nel successivo. Il voto portò poi la Dc a premiare il socialdemcoratico Giuseppe Saragat, eletto al ventunesimo scrutinio.
Sette anni dopo lo stesso Leone sarebbe stato eletto al termine di un'elezione-fiume da ventitré scrutini. Al settimo il partito impose l'astensione dopo che Amintore Fanfani era stato "cecchinato" a lungo dai franchi tiratori e per mostrare la reale forza politica delle sinistre, il cui candidato unitario, il socialista Francesco De Martino, aveva toccato 413 voti. Dopo quattro scrutini, Fanfani fu riproposto e nuovamente affossato. Il dodicesimo scrutinio vide 475 astensioni, prodomiche alla convergenza tra Dc, Msi e Partito Liberale che portò alla fine all'elezione di Leone.
Nel 1978 la guerra delle correnti causò il blocco preventivo: undici sedute consecutive di astensione per la Dc, dal quarto al quindicesimo scrutinio, per far tramontare la candidatura del comunista Giorgio Amendola e favorire il socialista Sandro Pertini.
Dunque, ricapitolando, la scelta dell'astensione serve a contare le proprie forze, testare quelle degli altri gruppi politici, far evidenziare differenze di compattezza tra i vari gruppi e
permettere a soluzioni politiche di decantare guardagnando tempo. Una strategia politica non secondaria e che può essere, in quest'ottica, letta sia in chiave tattica che in ottica strategica a seconda delle circostanze.
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