Igor il russo non si piega. Fa il duro coi pm italiani

I giudici bolognesi in trasferta a Saragozza. Ma il killer di Budrio sceglie di non rispondere

Igor il russo non si piega. Fa il duro coi pm italiani

Tranquillo, sprezzante, l'aria solida di chi ha già provato a lungo la galera ed è in grado di reggerla all'infinito senza piegarsi: ma pronto a approfittare del primo spiraglio per tirarsi fuori dai guai in un modo o nell'altro. Ieri, per la prima volta dalla primavera di fuoco di Budrio, Igor il Russo incontra l'uomo che lo ha braccato invano mentre seminava la morte nelle campagne emiliane. È Marco Forte, il pm bolognese titolare dell'indagine sull'omicidio del barista Davide Fabbri, che per tutto aprile e maggio seguì in diretta la gigantesca, inutile caccia dei carabinieri, tra paludi, cascine, canali. E che ieri si ritrova davanti il serbo inafferrabile, in una saletta del carcere di Zuera, alle porte di Saragozza. Incontro lampo. «Quieres responder?» «No».

Ai magistrati spagnoli che l'avevano interrogato dopo la cattura era andata di poco meglio. A loro Igor Vaclavic, ovvero Norbert Feher, almeno una perla l'aveva buttata lì, quando gli avevano chiesto come era arrivato in Spagna: «In bicicletta». E chissà se era guasconeria o strategia, orgoglio di fuggiasco o più prosaico tentativo di continuare a coprire la rete di appoggi che in Italia ed in Spagna lo hanno protetto fino all'ultimo inciampo, l'incidente che gli ribaltò l'auto dopo avere ammazzato un contadino e due guardie, e che il 15 dicembre scorso mise fine alla sua fuga.

Ai magistrati bolognesi, Igor non affida neanche lo sfottò. Nelle carceri italiane ha vissuto per anni, conosce norme e riti della nostra giustizia, sa che un criminale di ventura come lui non guadagna nulla a lasciarsi andare con i giudici. Almeno per ora. Se ne parlerà più in là, se e quando verrà consegnato alla giustizia italiana. Per adesso gli spagnoli se lo tengono stretto e si preparano a processarlo per i tre morti ammazzati prima della cattura. Il procuratore di Bologna, Giuseppe Amato, che guida la missione insieme a Forte, non si fa illusioni di averlo presto di qua dal Tirreno, e annuncia che i processi italiani cominceranno lo stesso, e presto. Lui, se vorrà, apparirà in videoconferenza.

Così all'ora di pranzo Amato e Forte sono già fuori dal carcere assolato, a rispondere ai microfoni dei giornalisti spagnoli. Anche a questi ultimi, più dei silenzi di Igor interessa la catastrofe della caccia: perché anche in Spagna la libertà di muoversi e di uccidere concessa al serbo in fuga ha scatenato polemiche a non finire. «Come avete fatto a lasciarvelo scivolare via?», chiedono i cronisti. E Amato: «Abbiamo fatto tutto il possibile, evidentemente qualcosa non ha funzionato. Ma non è facile dare la caccia a qualcuno che si muove come un lupo solitario».

Ma proprio qui sta il problema: perché più passa il tempo e più la leggenda del lupo solitario, del diavolo in grado di sopravvivere mangiando lucertole, appare sempre meno convincente, in Italia come in Spagna. Igor il Russo è in galera, forse per sempre. Ma i suoi complici sono fuori.

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