Chi c'è dietro la bomba immigrazione pronta a (ri)scoppiare? Il timore di esperti e osservatori è che il picco di sbarchi fosse legato all'arresto del criminale di guerra libico Osama Njeem Almasri. In realtà la ritorsione delle sue milizie salafite (per fortuna scongiurata) si sarebbe dovuta concentrare nel rapimento dei manager italiani presenti nel suo territorio, nell'assalto alle ambasciate e ai pozzi petroliferi. Ma allora da quali altri fattori dipende l'impennata? Come aveva anticipato Il Giornale, nella riunione di ieri a Palazzo Chigi a preoccupare i nostri è «il vuoto di potere» nel controllo di alcune zone cruciali della Libia, come il porto di Zuwara, città berbera storicamente contro l'ex dittatore Muhammar Gheddafi e il confine con la Tunisia a Ras Jadeer, valico affatto lontano dalla litoranea che passa davanti all'impianto Mellitah Oil and gas dell'Eni.
Da qui l'accelerazione sul protocollo Albania, nella speranza che l'effetto deterrenza - che ha dato già molti frutti - non venga vanificato dalle decisioni dei giudici sui rimpatri accelerati dei richiedenti asilo a cui è stata bocciata la domanda. Dei 49 sbarcati dalla Cassiopea a Shengjin ne sono rimasti 42, ai cinque tra minori e fragili (arrivati a Brindisi con direzione Potenza) si è aggiunto ieri un altro clandestino, che a ore sarà rimpatriato in Italia perché dai controlli medici è risultato vulnerabile. Le audizioni sulle richieste di asilo si sono svolte ieri a Gjader (a gruppi e non singolarmente), da oggi dovrebbero arrivare i primi verdetti. Vedremo se in linea con le precedenti sentenze o se la recente pronuncia della Cassazione sul potere del governo di decidere i «Paesi sicuri» potrà determinare un cambiamento. A decidere saranno i giudici delle sezioni Immigrazione, «regalati» alle Corti d'Appello che hanno ereditato dal decreto Flussi la competenza.
A spaventare il governo - anche se l'allarme sembrerebbe rientrato - è soprattutto il porto di Zwuara di cui aveva già parlato il Giornale, uno degli hub del traffico di esseri umani ad ovest di Tripoli, non più in mano il controllo del valico a favore delle forze del ministro dell'Interno Emad Trabelsi, l'unità investigativa anticrimine impegnata a contrastare il contrabbando e il mercato di uomini, con miliziani che nascondono la propria identità con la balaclava. L'accordo con l'Italia (vedi il Memorandum del 2017 firmato dal Pd Marco Minniti) limitava le partenze in cambio di altri traffici (petrolio, sigarette), che però non bastano. Per questo la brigata ha perso (e riconquistato) il controllo, strappandolo agli altri gruppi armati che lucravano sul business dei migranti, il migliore introito possibile. Ma dai 3.074 migranti dello scorso 25 gennaio ieri eravamo a 3.354, con Lampedusa e la Sicilia approdo quasi esclusivo (con 3.004 arrivi).
Se si analizzano i flussi si scopre che dalla Libia arrivano soprattutto bengalesi (1.189) e pakistani (721), mentre gli africani - che l'anno scorso hanno scelto le Canarie come approdo - sono in forte calo, mentre ci sono aree che stanno «friggendo», vedi il Congo nel mirino delle milizie del Rwanda o la Siria, che ieri ha sciolto il Parlamento e sospeso la Costituzione. Dalla Tunisia, ad esempio, sono arrivati meno di 50 migranti. Perché? Secondo il rapporto di una Ong ci sarebbe un orrendo mercato di esseri umani alla frontiera gestito da polizia e militari tunisini, con una «catena logistica integrata ed affinata», in cui i malcapitati finirebbero vittime di corpi armati libici e delle loro prigioni, dalle quali si esce sono col pagamento di un riscatto», dice Piero Gorza, antropologo e presidente di On Borders. Dall'altra parte del confine a sorvegliare il tratto di mare (e proteggere anche la sovranità della Tunisia), ci sta pensando la Guardia nazionale di Tunisi. Secondo il portavoce Houssem Eddine Jebabli, generale di brigata, molti irregolari chiedono il rimpatrio volontario. Nel 2024 ne sono stati registrati più di 6.000, rispetto ai 2.500 del 2023. Che sia la minaccia delle prigioni libiche o il lavoro della Guardia nazionale, da qualche giorni gli irregolari si tengono alla larga dalla Tunisia. Ma fino a quando?
Che sia un problema «politico» l'invasione di migranti lo ha scoperto la Francia e la Germania, con l'avanzata delle destre. Riaprire i rubinetti libici, magari col placet di intelligence straniere che non amano i nostri rapporti privilegiati con Tripoli, significherebbe mettere pressione all'esecutivo di Giorgia Meloni. Basti ricordare che intorno al 2017 si è scoperto che Vladimir Putin e l'armata Wagner hanno avuto un ruolo chiave nell'ondata migratoria di persone a maggioranza islamica, difficilmente integrabili, tesa a destabilizzare l'Europa.
È questo non è complottismo, ma un preciso disegno politico che la solita giurisprudenza creativa rischia di far avverare. In attesa della sentenza della Corte di giustizia europea sui «Paesi sicuri» prevista per il 25 febbraio, che potrebbe persino dar ragione all'Italia e alla Ue sugli hotspot extra Ue che piacciono a mezza Europa.
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