C'è una precisa domanda che i migranti rivolgono alle autorità una volta entrati in Italia: riguarda la possibilità di presentare la domanda di asilo in un altro Paese europeo. A segnalarlo in un documento redatto lo scorso anno è l'associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione. Un segnale di come il nostro Paese viene percepito potenzialmente come mero luogo di transito e non di approdo definitivo. Eppure, secondo le norme attuali, è l'Italia a doversi fare carico dell'accoglienza.
L’onere di accoglienza previsto dal Trattato di Dublino
Nato per disciplinare il complesso meccanismo del sistema d’accoglienza dei migranti all’interno dei Paesi membri dell’Unione Europea con annessa richiesta d’asilo, il Trattato di Dublino ha tra i suoi elementi un principio che dal 1990 ad oggi ha rappresentato il nodo cardine dell’intero documento. Secondo tale principio è lo Stato di primo approdo del migrante che deve far fronte al sistema accoglienza e alla domanda d’asilo dello straniero, evitando che pervengano contemporaneamente le stesse richieste a diversi Paesi membri. Per la precisione, a far parte di questo Trattato oltre agli Stati europei sono anche Norvegia, Svizzera e Islanda che, inserendosi in un secondo momento, si sono conformate ai principi contenuti nel documento. Altro elemento cardine che emerge dalle intenzioni dei firmatari del Trattato è quello di impedire la presenza di richiedenti asilo definiti in “orbita” ovvero quelli che vengono rimbalzati da uno Stato membro ad un altro. Buone le finalità degli elementi fondamentali ma allo stesso tempo è impossibile non notare come essi non giovino allo stesso modo a tutti i Paesi chiamati al loro rispetto. Sono infatti evidenti gli svantaggi per l’Italia la quale, rappresentando uno dei territori di primo approdo dei migranti, si trova gravata dall’onere della gestione dei meccanismi di accoglienza. Senza andare lontano, i flussi migratori registrati nel 2020 lo confermano e, analizzando l’attuale momento, il trend degli arrivi provenienti dall’Africa sembra proprio lanciare l’allarme di numeri superiori al precedente anno.
Le proposte di modifica del Trattato
La situazione non appare dunque confortante per l’Italia che, a fronte di un numero importante di migranti rispetto agli altri Paesi europei, riesce a mandare avanti le pratiche più urgenti a fatica e con tempi infiniti. A confermare tali difficoltà sono le diverse migliaia di stranieri che rimangono sul territorio nazionale in attesa dell’esito della domanda d’asilo. Uno spiraglio sembrava potesse aprirsi lo scorso mese di settembre quando il presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha parlato di riforma del Trattato di Dublino. Una modifica il cui nodo centrale è rappresentato da una maggiore solidarietà europea verso gli Stati più esposti ai flussi migratori. Vediamo di cosa si tratta. Nello specifico i punti centrali della riforma sono tre. Il primo si basa sulla “procedura di frontiera integrata” che prevede uno screening pre ingresso del migrante. Quest’ultimo verrà quindi sottoposto ad identificazione dopo l’arrivo senza autorizzazione nel Paese europeo oppure a seguito di un’operazione di salvataggio in mare. Tutti i dati raccolti saranno inseriti nell’Eurodac. Da qui poi la decisione se rimpatriare il migrante o aprire per lui la procedura per la richiesta d’asilo. Andiamo adesso al perno della modifica: il principio di solidarietà. Un principio i cui effetti sono ambigui dal momento che da esso non deriva alcun obbligo per i Paesi membri ma solo un impegno. Il che vorrebbe dire che l’Italia potrebbe trovarsi ancora una volta sola nella gestione dell’emergenza in materia di immigrazione. Infine, il terzo pilastro prevede accordi con i governi extra europei sia per la gestione dei flussi migratori che per i rimpatri.
Ecco come poter superare Dublino
In un modo o nell'altro il documento firmato nella capitale irlandese più di 30 anni fa appare “superato” dai fatti. Quando nel 1990 è stato siglato dai capi di Stato e di governo di allora, l'immigrazione era un fenomeno marginale. Oggi invece, al contrario, rappresenta una delle spine nel fianco più importanti sotto il profilo politico. Come superare l'impasse generato in questi ultimi anni? In ambito accademico sta emergendo una proposta: quella cioè di dare ai migranti la possibilità di scegliere, una volta entrati in Ue, il Paese dove presentare la richiesta di asilo. A spiegarlo su IlGiornale.it è il docente dell'Università Statale di Milano, Maurizio Ambrosini: “Piuttosto che parlare di ricollocamenti – ha dichiarato – sarebbe opportuno far scegliere ai migranti”.
In questo modo si coniugherebbe il principio dell'accoglienza con le necessità dei Paesi di primo approdo, tra cui l'Italia: “Non ha senso ricollocare un migrante in un Paese dove non ha prospettive di integrazione – ha aggiunto Ambrosini – oppure tenerlo nel Paese di primo approdo in attesa dell'esito della domanda di asilo”. Peraltro sulla redistribuzione automatica, più volte proposta da diversi governi negli ultimi anni, grava il veto di alcuni Stati membri dell'Ue, tra cui quelli del gruppo Visegrad, i quali non vogliono quote di migranti al proprio interno. Con il principio della scelta volontaria, si andrebbero dunque a superare anche problemi di ordine politico: “A quei Paesi che ricevono il maggior numero di richieste di asilo – ha poi proseguito il docente – si potrebbero riservare degli indennizzi economici”.
I vantaggi per l'Italia
Una riforma del genere darebbe al nostro Paese l’aspetto di un territorio di mero transito per i migranti. Ciò che in effetti è già nei fatti ma non sulla carta: “Buona parte di chi arriva in Ue non vuole rimanere in Italia – ha confermato Ambrosini – il nostro mercato del lavoro non è più un'attrazione come un tempo, i migranti sbarcano da noi per raggiungere Paesi come Francia e Germania, ad esempio”. La linea di Ursula Von Der Layen è destinata a fallire. Negli ambienti comunitari ne sono più che convinti: la sua riforma, presentata a settembre, non ha trovato significativi consensi politici. Questo perché scontenta tutti: da un lato l'Italia, dall'altro i Paesi del blocco Visegrad. L'unica parte che potrebbe sopravvivere riguarda quella sui rimpatri, la cui linea è stata sposata anche dal presidente del consiglio Mario Draghi. Ecco quindi che la proposta sulla scelta volontaria dei migranti, al momento rimasta confinata negli ambienti accademici, potrebbe trovare fertile terreno politico: “Non è da escludere una resistenza di alcuni Paesi del nord Europa – hanno confermato fonti diplomatiche su IlGiornale.
it – ma se dovessero tramontare definitivamente i ricollocamenti, in estate le trattative potrebbero partire da qui”. C'è una possibile data per la presentazione di un nuovo piano: è quella del settembre 2021, dopo le elezioni in Germania.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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