"Sulla durata dei processi il governo di gioca tutto il Recovery, non solo quello legato alla giustizia". Il richiamo del ministro della Giustizia, Marta Cartabia, risuona non solo per i corridoi di via Arenula ma anche per quelli di Palazzo Chigi. E si rivolge a tutta l'Italia. La riforma della giustizia, che prevede la riduzione drastica dei tempi dei processi entro cinque anni, non è solo ambiziosa ma un passaggio fondamentale. Quello o il caos: o si vara la riforma o non ci saranno altri soldi dall'Europa.
Il problema è chiarissimo e impellente. Quando i capi di Stato e di governo dell'Unione europea si mettevano intorno a un tavolo per decidere come avrebbe dovuto erogarsi il blocco di miliardi per la ripresa dei singoli Paesi membri, i cosiddetti falchi posero una clausola. Questa clausola viene definita "freno d'emergenza" e funziona in modo più o meno semplice: qualora vi fossero "gravi scostamenti" di un Paese membro rispetto al raggiungimento di un obiettivo contenuto nel proprio piano per i fondi Ue, un governo di qualsiasi Stato dell'Unione europea può chiedere il blocco dell'erogazione dei fondi rimettendo il problema al Consiglio europeo. Questa clausola fu la garanzia richiesta da tutto il fronte dell'austerity per evitare che i fondi del Recovery fossero sostanzialmente a pioggia, privi di una qualsiasi capacità coercitiva per modificare il sistema-Paese di chiedeva i prestiti.
La questione adesso è molto importante perché nel Pnrr, cioè il piano italiano che vincola a determinate riforme l'erogazione dei fondi e dei prestiti europei, c'è proprio la riforma della giustizia. Come riporta il Messaggero, "se il pagamento anticipato del 13% entro l'estate è dato quasi per acquisito (per l'Italia si tratta di circa 25 miliardi di euro), i problemi però come evidenziato con toni preoccupati anche dalla Guardasigilli potrebbero sorgere via via che Bruxelles monitorerà lo stato di avanzamento delle riforme". E di mezzo c'è il nodo giustizia. Un peso che grava sull'Italia e in particolare su Mario Draghi. Il presidente del Consiglio deve infatti cercare di evitare che il governo possa avere problemi nell'approvazione delle riforme, altrimenti il pericolo del freno d'emergenza rischierebbe di diventare molto concreto.
In ballo non ci sono "solo" i miliardi del Recovery, ma anche una sfida politica che riguarda il futuro dell'Europa. Draghi, per la convergenza di alcuni fattori geopolitici, è attualmente una delle figure di spicco dell'Europa. L'era Merkel si sta per chiudere, Emmanuel Macron appare sempre più fragile e con le elezioni alle porte, altri Paesi mediterranei (a cominciare dalla Spagna) non appaiono assolutamente in grado, sul momento, di inserirsi nella triade europea. Il premier italiano ha tutte le carte in regola, anche solo per il suo passato alla Bce, per essere considerato un riferimento per l'Unione europea.
Ma dall'altra parte, i falchi, i cosiddetti "frugali" non sembrano intenzionati a cedere su tutta la linea. Mark Rutte l'ha fatto intendere in modo molto chiaro per quanto riguarda il Sure, che Draghi, da Porto, ha chiesto che diventasse strutturale. E il blocco composto da Austria, Paesi Bassi, Finlandia, Svezia aspetta con ansia l'evoluzione politica della Germania. Angela Merkel ha sfruttato i frugali come ariete per evitare di dover cedere alle pressioni "mediterranee", tuttavia, con un nuovo cancellierato, le cose potrebbe cambiare.
Berlino vede sopraggiungere i Verdi, che hanno già mostrato di essere molto più allineati al Sud dell'Europa, ma la nuova Cdu potrebbe irrigidirsi per non perdere voti dalla pancia tedesca, ben più affine ai timori olandesi che alle ambizioni europeiste del debito comune. Proprio per questo motivo, l'Italia non può permettersi di finire nella lista nera europea con la minaccia del freno d'emergenza: l'autunno prevede cambiamenti importanti e una crisi che non accenna a diminuire.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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