Eugenia Roccella risponde con una voce nasale («Sono raffreddatissima»), che si fa seria quando snoccioliamo i dati Istat sull'inverno demografico. «Siamo ormai in un inferno demografico. A giudizio unanime degli esperti siamo vicini al punto di non ritorno, oltre il quale denatalità e spopolamento diventeranno irreversibili. Siamo insomma all'ultima chiamata e il tema dovrebbe occupare i pensieri di chiunque faccia politica, perché dalla natalità dipendono non soltanto la crescita economica o la sostenibilità dei servizi, ma anche la possibilità di un Paese di esprimere creatività, innovazione, in una parola vitalità. Al governo lo abbiamo ben presente, come dimostrano il nostro programma e le prime scelte compiute».
Non se ne parla abbastanza...
«Quello che mi impressiona è che la questione demografica sia completamente assente nel dibattito programmatico che attraversa la sinistra e in particolare il Pd, al punto che parlare di maternità diventa oggetto di attacco politico. Non so se si tratti di inconsapevolezza o di rimozione ideologica, e fra le due opzioni non so quale sia peggio».
Ci sono nella manovra misure a sostegno della natalità?
«La manovra traccia una precisa rotta politica. Nel pieno di una delle emergenze più gravi degli ultimi decenni, con tempi e vincoli di spesa strettissimi, è stato dato un segnale preciso sulle nostre priorità. Abbiamo previsto un primo intervento sull'assegno unico, potenziato per il primo figlio e dal terzo figlio in su. E inoltre riduzione dell'Iva per i beni per la prima infanzia, abbattimento dei contributi per l'assunzione di donne e giovani, prolungamento dei congedi parentali, mutui agevolati per le giovani coppie, carta risparmio e altro ancora. Un miliardo e mezzo, quattro se consideriamo anche gli interventi per aiutare le famiglie a fronteggiare il caro bollette».
Fare figli è solo una questione economica o c'è dell'altro?
«Il dato economico è rilevante, ma altrettanto importante è il fattore culturale. Bisogna recuperare il valore sociale della maternità. Oggi vantare un titolo professionale è qualificante, dire che si è madri non lo è. Eppure fare figli non è solo una scelta privata ma un fatto socialmente rilevante, una prospettiva di futuro per il nostro Paese. Aggredire la crisi demografica è la prima grande riforma che qualsiasi governo dovrebbe porsi come obiettivo. Noi abbiamo posto la natalità al primo punto del nostro programma e il mio compito è anche quello di promuovere in ogni ambito dell'azione di governo una considerazione delle ricadute sulle famiglie e sulla loro crescita».
Perché la maternità è vista come un inciampo nella carriera?
«Perché il nostro sistema troppo spesso la rende tale. E questo è il primo ostacolo da rimuovere. Sembrerà sorprendente, ma gli studi dimostrano che il desiderio di maternità nelle donne è invariato rispetto al passato. Ma non si tramuta in realtà perché fare figli comporta troppo spesso sacrifici che oggi, giustamente, le donne non vogliono più affrontare.
Bisogna ricostruire attraverso il welfare quella rete di sostegno che un tempo si basava su relazioni comunitarie oggi sfibrate. Per farlo c'è bisogno di contare anche sul welfare aziendale, sugli enti locali, sul terzo settore. Insomma, per incidere sulla natalità c'è bisogno di sviluppare le pari opportunità».
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