Pensereste Giulio Giorello emulo di Zorro? Non fu mai un filosofo atteggiato, mai un oracolo o un guru; piuttosto un animo gentile e disponibile, desideroso di riparare le ingiustizie, di aiutare i migliori. Fu, come me, fortunato, ammirato, riconosciuto; ma non assunse mai l'atteggiamento di chi, nel mondo universitario e nel mondo editoriale, ha raggiunto il potere. Il potere gli serviva per sostenere le giuste cause, non sempre quelle prevedibili: il suo più alto grado accademico fu di Professore (stra)Ordinario dell'Università di Aristan, una altissima istituzione concepita nel Giudicato di Arborea da Filippo Martinez. Una donna, Eleonora, l'aveva consacrato.
La sua figura è a metà tra la storia e la leggenda. Viene considerata, e non solo dai Sardi, una eroina, la patriota che dette la sua stessa vita per amore della sua terra. Una donna fiera e bellissima. Quel che è certo è che nella seconda metà del XIV secolo divenne giudicessa d'Arborea - ovvero sovrana - e si pose l'obiettivo di unire l'intera isola, allora divisa in quattro parti, sotto un unico dominio. La Sardegna, inoltre, deve a lei la sua Costituzione, la Carta de Logu, tanto avanzata da essere rimasta in vigore fino al 1827. La Sardegna medievale era divisa in quattro entità territoriali autonome, chiamate giudicati (Torres, Arborea, Gallura, Cagliari), ognuna retta da proprie leggi e governanti. Nel 1383, Eleonora si autoproclamò giudicessa di Arborea, seguendo l'antico diritto regio sardo, secondo cui alle donne era consentito succedere al padre o al fratello. Il suo ultimo erede, regnante, è Filippo I d'Arbore, che ha instaurato il regime assolutista della monarchia individuale, restituendo a ognuno, anche a chi non ne è consapevole, il dominio di sé.
L'ultimo trattato teologico politico di Filippo Martinez, Angeli custodi, Arcangeli e Milton Friedman, ha come obbiettivo la liberazione da ogni forma di pregiudizio e di oppressione. Con questa storia solenne della famiglia di Arborea, Filippo Martinez ha a cuore la istruzione e la illuminazione del suo popolo, attraverso l'Università suprema del pensiero libero. Per questo ha chiamato alcuni illustri docenti, di chiara e trasparente fama, per la facoltà di Scienze della Felicità, con le lauree in Teoria e Tecniche della Salvezza dell'Umanità. Questi gli insegnamenti. Giulio Giorello: Texologia; Barbara Alberti: Amore; Michela Murgia: Odio; Vittorio Sgarbi: Follia; Pietrangelo Buttafuoco: Francoecicciologia; Filippo Martinez: Regalità individuale; Remo Remotti: Remologia; Fausto Taiten Guareschi: Il Nulla. CORSO DI PREVENZIONE DELL'IDIOZIA ESAGERATA: Ornella Vanoni: idiozia e canzoni; Roberto Pedicini: idiozia e voce; Nadia Toffa: idiozia e comunicazione; Frank Matano: idiozia e Internet. I corsi spopolano.
In un suo dialogo, in cui prende le distanze da un ateismo dogmatico, Giorello mostra di comprendere le ragioni di chi crede in Dio, come espressione di una condizione umana di incertezza, di precarietà. La fede è la conseguenza dell'assurdo in cui la nostra vita si dibatte. «Credo quia absurdum» dice Tertulliano; e Giorello conosce bene quel limite dell'uomo che è anche il limite della vita, e come la religione si manifesti come amore per gli altri, nella perfetta corrispondenza con la concezione di Spinoza, filosofo a Giorello carissimo: «homo homini deus». Per questo, con una formula felice, Giorello poteva parlare della «sofferenza della decisione» cui ogni uomo è sottoposto. È qualcosa che ricorda quanto scriveva il pensatore più lontano da lui, all'apparenza: Leon Bloy: «Quando appare una grande personalità, chiedetevi anzitutto dov'è il suo dolore». Il dolore di Giorello aveva generato una personalità serena, distaccata dall'ambizione, istintiva e felice come un bambino. Giorello era contemporaneamente appassionato e atarattico.
È quello che ha colto, nel suo ricordo, Maurizio Ferraris: «Giulio Giorello è per me indissolubilmente associato all'idea di giovinezza di libertà e di libertarismo. Non sarebbe mai dovuto morire, lui che era rimasto eternamente giovane, nel vestire, nel pensare, nei gusti e nei comportamenti. Ma evidentemente, ogni umano e ogni filosofo lo sa, la libertà ha un limite, la morte, che è insieme una possibilità, un dovere di espressione, una fretta di agire. Non sono nemmeno sicuro che Giulio avrebbe voluto vivere in eterno, e il suo laicismo ne è una prova».
È la stessa incredulità che ho provato io, alla notizia della sua morte, avendo condiviso una parte delle sue idee per un libro a quattro mani o a due voci che sarà la sua prima opera postuma. Io sono un pezzo sopravvissuto di lui, talvolta un pensiero all'unisono. Il libro, che uscirà presso la Nave di Teseo, sarà un sorta di Trattato del bene e del male sui temi condivisi di «Arte, Dio, Scienza». È qui che troviamo il filosofo applicato all'arte, così come in tempi recenti abbiamo visto, in un percorso personale e arbitrario, Giorgio Agamben nel libro Studiolo, dove affronta Giovanni Bellini, Van Eyck, Vermeer, Velázquez, Artemisia, Holbein, Mantegna, Arikha, Isabel Quintanilla, Gianfranco Ferroni, Ruggero Savinio, Monica Ferrando. Gli artisti indicati nel nostro libro da Giorello sono classici del Rinascimento; Masaccio, Biagio D'Antonio, Piero della Francesca, Andrea Mantegna, Lorenzo Lotto, Giovanni Bellini. I due filosofi (che non si conoscevano) hanno in comune l'attenzione per un pittore sommamente devoto come Bellini. Singolare che Agamben abbia scelto un soggetto biblico legato alla dissolutezza come l'Ebrezza di Noè, mentre Giorello la Pietà, dove il dolore della madre è il dolore di una donna reale, non di una donna eternamente giovane come nella Pietà di Michelangelo. La madre di Bellini è una vera madre sofferente e rassegnata, pur nella consolatoria premonizione di un destino salvifico per il figlio. Ma intanto è lì, morto, davanti a lei, e il dolore resta terribile. Lei è la madre, prima di tutto. «Qui la fanciulla è diventata vecchia . Il volto di Maria continua a meditare soffrendo; sono le sue lacrime l'unico specchio in cui la Croce del figlio potrebbe riflettersi senza in nulla essere tradita».
Giorello, diversamente da Agamben, intende l'arte non come viatico della conoscenza, esperienza intellettuale, Erlebnis, ma come strumento di comprensione del mondo. Il nostro è un Dio illustrato di cui non importa l'esistenza ma l'esempio. La sua traccia fu Andrea Emo, il filosofo che si definì, con invidia intellettuale di Giorello, «mezzo scienziato, mezzo artista e mezzo sacerdote». Emo scrive: «Come Rembrandt seppe distillare l'oro radiante della sua luce dalle cupe tenebre, così Spinoza distillò la più inebriante libertà dal determinismo universale». Giorello vedeva i quadri come i testi dei filosofi: erano un appoggio del suo pensiero. In Spinoza trovano soluzione le sue contraddizioni. Nel nostro libro Giorello scrive: «27 luglio 1656: Sia maledetto di giorno! Sia maledetto di notte! Sia maledetto quando dorme, maledetto quando si sveglia! Sia maledetto quando esce, maledetto quando entra. Che il Signore non gli perdoni mai. Così suona la condanna della Sinagoga di Amsterdam per Baruch Spinoza (1632-1677): cane infedele per ebrei, ma anche per cristiani (cattolici come riformati); eppure, un santo del pensiero per altri, capace delle più sconcertanti riflessioni come la seguente, su corpo ed eternità - che leggiamo nello Scolio che segue alla Proposizione XXIII della Parte V dell'Etica: Benché non possa accadere che ci ricordiamo di essere esistiti prima del Corpo (poiché non è possibile che nel corpo se ne dia alcun vestigio, né l'eternità può essere definita dal tempo) però sentiamo e sperimentiamo di essere eterni (at nihilominus sentimus, experimurque, nos aeternos esse)».
Giorello si identifica nella natura randagia di Spinoza. Ecco, credo che nella sua autobiografia intellettuale egli trovasse la parte più viva e poetica di sé (nella sua adolescenza mai interrotta, come momento supremo di formazione e turbamento, quando iniziamo a sentire di essere nel mondo) in una congiunzione del pensiero pittorico del tardo Bellini e di quello filosofico di Spinoza. Non aveva dubbi sulla fine del suo corpo, e anche dell'anima che lo teneva vivo, ma allo stesso modo non poteva dubitare che il suo pensiero contribuisse a una indistinta eternità dell'uomo che si rappresenta continuamente in ciò che contribuisce a cambiare il mondo. Il nostro pensiero come pensiero del mondo.
D'altra parte, nessuno dubita dell'esistenza di Zorro e, per un attimo, dopo Douglas Fairbanks, Tyrone Power, Alain Delon, Antony Hopkins, Antonio Banderas, anche Giorello fu Zorro. E continua a esserlo anche dove sta ora, che lo sappia o no, che lo voglia o no.
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