Una mozione di censura al Parlamento di Strasburgo, un sit-in davanti alla sede romana dell'Unione europea e un profluvio di reazioni indignate. L'ultimo giorno di campagna elettorale di Matteo Salvini e dei dirigenti della Lega è stato monopolizzato dall'invasione di campo della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen.
Nel corso di una conferenza stampa a Princeton la von der Leyen ha mostrato una preoccupazione fuori misura sul risultato del voto di domani. È bastata una domanda sull'Italia perché la von der Leyen replicasse con una frase che somiglia a una velata minaccia: «Abbiamo gli strumenti se le cose vanno in una direzione difficile». E anche la toppa fa peggio del buco visto che, a chiarimento, la presidente delal Commissione ha aggiunto: «La democrazia è un costante lavoro in corso. Non è mai al sicuro».
Fare dell'Italia un Paese dove la democrazia è a rischio non è certo la trovata più efficace per commentare le ultime ore di campagna elettorale. E se c'è un effetto positivo prodotto da queste parole è quello di vedere tutti gli attori di questa campagna elettorale unirsi in un coro perfettamente armonico e senza stonature (a eccezione del Pd). Tutti sulla stessa nota anche se fino al giorno prima erano divisi su tutto.
Salvini si è mostrato il più indignato, tirando in ballo anche il premier Draghi. «Non ho colto reazioni del professore e presidente del Consiglio, Mario Draghi che rappresenta tutta l'Italia», commenta amaro il leader della Lega che poi aggiunge: «È un attacco alla democrazia, oltretutto con il ricatto: Mi fermi i fondi europei se Salvini blocca gli sbarchi o il nutriscore. È un atto di bullismo istituzionale e un vile ricatto».
Gli uffici di Bruxelles ieri hanno cercato di rimediare al pasticcio di Princeton. «La presidente von der Leyen - prova a spiegare Eric Mamer, portavoce della Commissione - ha spiegato che la Commissione lavorerà con tutti i governi che usciranno dalle elezioni e che vogliono lavorare con la Commissione europea». Parole insufficienti per il segretario leghista che chiede alla stessa presidente della Commissione europea di scegliere tra le scuse pubbliche o le dimissioni (che proprio la mozione di censura potrebbe provocare se ad approvarla sia una maggioranza qualificata nell'emiciclo di Strasburgo).
Anche Giorgia Meloni mostra irritazione. Da Napoli, dove ha chiuso la campagna elettorale, ricorda che nel corso di questa campagna elettorale sono state tante le «uscite a gamba tesa» arrivate da Bruxelles. Pur considerando le tardive correzioni della stessa von der Leyen, la leader di Fratelli d'Italia censura un atteggiamento che «nuoce più che altro alla credibilità della stessa Commissione».
Più sfumata la posizione di Forza Italia che, per voce del suo presidente Silvio Berlusconi, cerca di rassicurare sul ruolo di garanzia che il suo partito sarà in grado di ritagliarsi.
Dai grillini agli esponenti del Terzo Polo e persino Luigi De Magistris parlano di interferenze inaccettabili nei confronti.
Diverso il caso di Enrico Letta che si è sentito chiamato in causa dalla chiosa del ragionamento della stessa Meloni che («c'è una responsabilità in questa cosa ed è della sinistra italiana che è andata in giro per tutto il mondo a sputare addosso alla sua nazione per cercare di vincere le elezioni»). Il segretario dem però sceglie Salvini come bersaglio della sua reprimenda: «Le sue parole sulla von der Leyen sono gravissime. Chiederne le dimissioni per un equivoco è un tentativo di radicalizzare lo scontro».
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