"Io, interrogata e incappucciata per 10 ore"

Cecilia Sala rivive le sue prigioni: "I datteri come premio, non tornerò in Iran"

Cecilia Sala
Cecilia Sala
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Che tempo che fa debutta nel 2025 con un'ospite d'eccezione: Cecilia Sala. Fabio Fazio nella puntata di ieri sera ha intervistato la giornalista liberata lo scorso 8 gennaio dal carcere di Evin in Iran. Cecilia entra in studio, camicia bianca e pantaloni neri. «Stai riuscendo a dormire?», chiede Fazio. «Aiutata sì, sono stata fortunatissima a stare lì solo 21 giorni, un giornalista del Washington Post in Iran ce n'è stato 544». Poi inizia il racconto: «Non avevo gli occhiali, perché sono pericolosi, possono essere un'arma contro te stessa, però almeno le lenti a contatto potevano darmele, ma fa parte dell'isolamento. Mi hanno dato da leggere il libro Kafka sulla spiaggia, hanno scelto loro, io avevo chiesto il Corano in inglese, pensavo che l'avessero e non me lo potessero negare». Poi continua: «Ero in una cella di 2 metri per 3, vuota. Leggevo gli ingredienti del pane in inglese». Passa quindi al compagno: «Senza dubbio la foto con Daniele è la foto più bella della mia vita». E di nuovo ripartono i ricordi di quei giorni: «Nella prima telefonata ho detto di essere stata arrestata, ma non ferita, poi grazie a un linguaggio in codice riuscivo a passare delle informazioni: non avevo un materasso, un cuscino, ero controllata. I primi 15 giorni ho avuto interrogatori tutti i giorni e venivo incappucciata». Poi continua: «L'isolamento è per farti crollare psicologicamente, per aumentare le accuse a mio carico, ed essere un ostaggio di maggiore peso. Gli interrogatori duravano 9 ore. In uno sono crollata e ho preso una pasticca. Chi mi interrogava parlava perfettamente inglese e conosceva bene l'Italia». Ripercorre anche i suoi pensieri di allora: «Quando mi hanno liberato pensavo fossero i Pasdaran e che mi volessero portare in una loro base perché non si fidavano. Poi quando mi hanno tolto la benda, ho visto un volto italianissimo e ho fatto il sorriso più bello della mia vita». «Durante gli interrogatori ti fanno rilassare, ti danno un dattero o una sigaretta. Mi hanno chiesto anche se preferivo l'impasto della pizza alla napoletana o alla romana. Fa parte della tecnica». A un tratto le trema la voce: «Un cittadino svizzero si è suicidato nel mio stesso carcere». Musk ha giocato un ruolo? «Nessuno ha mai parlato con Musk, neanche Daniele, il mio compagno. La mia famiglia ha provato a contattare chiunque. Daniele ha parlato con Andrea Stroppa il referente Musk in Italia. Ha risposto: Informato, cioè lo sa». Poi il timore più grande: «Avevo paura per i nervi, a restare lì in isolamento. Non mi hanno mai toccato, maschi e femmine non possono neanche sfiorarsi». Quando hai capito di essere un ostaggio? «Quando è morto Carter». Poi di nuovo il racconto di quei giorni: «Quando la fessura della porta è chiusa non senti nulla, ma quando è aperta, rumori, c'era una ragazza che correva e sbatteva la testa contro la porta, e poi pianti, vomito».

Poi un pensiero a chi è ancora a Evin: «Molte iraniane non hanno la fortuna di vivere in un Paese come il mio. Narges Mohammadi e tante altre donne sono ancora in questa condizione». Infine: «Non andrò in Iran finché c'è la Repubblica islamica. Ma tornerò a parlare delle storie degli altri, non vedo l'ora».

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