C'è un dato davvero insopportabile nel dramma di Giulia Cecchettin, la strumentalizzazione che si fa della tragedia in politica. Su entrambi i fronti. Un mare di polemiche senza senso che inevitabilmente finiscono per assumere un colore. Non c'è «pietas», non c'è consapevolezza del limite di fronte ad una vicenda che ha scosso il Paese nel profondo. Invece di riflettere, di raccogliere le idee e i sentimenti di fronte ad un avvenimento sconvolgente, si imbocca la strada dello scontro, ci si azzuffa inventandosi responsabilità che non possono non essere personali. Poi certo c'è la cultura, la famiglia, l'educazione all'affettività per usare l'espressione di Ely Schlein, ma sono temi che, appunto, non possono essere partigiani, non appartengono a nessuno. Sono questioni aperte in ogni paese e il soggetto, o per altri l'imputato, è la società. Anzi, basta guardare alle statistiche dei femminicidi in Europa per constatare che l'Italia è in coda, preceduta per numero di donne assassinate dalla Francia e dalla Germania. Di più: se c'è un dato su cui bisognerebbe soffermarsi è che da noi questi episodi di cronaca dolorosi sono partecipati, il Paese ne rimane colpito, è solidale. L'immaginario collettivo non li richiude nello scrigno della normalità come avviene in altre nazioni contagiate dal morbo dell'indifferenza. Ecco perché le polemiche sono inutili, dannose, addirittura mortificanti. Come pure inventarsi nuove norme, legiferare sull'onda dell'emozione, salvarsi l'anima come classe politica con una nuova legge. Governare non significa seguire l'onda dell'emotività: altrimenti assecondi il peggior populismo; ti ritrovi, ad esempio, a moltiplicare i decreti sicurezza mentre lasci orfana la riforma della giustizia. Ecco di leggi ce ne sono fin troppe. Sarebbe, invece, più giusto comprendere il fenomeno se di fenomeno si tratta perché la gelosia, la possessività esistono da che mondo è mondo e si tratta di reazioni emotive che non esorcizzi con le norme. Semmai dovresti cominciare dall'educazione, sensibilizzando su questi temi le famiglie e la scuola, bandendo ogni tipo di ideologia vecchia e nuova. Invece, nei discorsi di questi giorni ritrovi gli echi di tutti i dibattiti sociali, culturali, o presunti tali, che attraversano la società occidentale. Basterebbe, invece, un po' di buonsenso, comprendere che la violenza sulle donne è un crimine contronatura innanzitutto. Un crimine odioso, efferato oggi come lo era 50 o 100 anni fa. Poi viene tutto il resto. E nel resto c'è anche una constatazione: è inutile che approvi nuove leggi se non riesci ad applicare quelle che ci sono già, se neppure in delitti così efferati c'è la certezza della pena. Come si fa, ad esempio, a rimettere in libertà, pardon, agli arresti domiciliari una persona condannata a 30 anni (ne aveva scontati solo sei) per aver ucciso con 57 coltellate la sua «ex»? E non è il solo caso. È chiaro che di fronte a vicende del genere - lo dice un convinto garantista - tutte le nuove leggi, le polemiche di questi giorni perdono di significato.
Altrimenti si rischia di dare l'impressione che ogni provvedimento, lo stesso dibattito di queste ore non miri ad affrontare con efficacia il problema ma serva solo a dare qualcosa in pasto ad un'opinione pubblica disorientata. Certo è la natura della politica, ma su temi così sensibili la politica dovrebbe restare sull'uscio della porta.
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