L'intolleranza dei finti tolleranti è un sentimento che non si può comprendere a fondo finché non si finisce nel tritacarne social dei paladini dell'inclusività. A farne le spese sono a turno giornalisti, opinionisti, politici, cittadini colpevoli di aver espresso un'opinione o un concetto non gradito al nuovo tribunale della lingua.
Giovedì scorso è toccato a me subire il linciaggio social per aver utilizzato una parola sgradita al mondo liberal. Intervenendo in una trasmissione televisiva ho definito Kamala Harris «un candidato alla presidenza degli Stati Uniti» e la conduttrice mi ha fatto notare che avrei dovuto definirla una candidata al femminile. Le ho risposto dicendo «un candidato o una candidata, va bene» per poi aggiungere che per me il rispetto delle differenze tra uomo e donna è fondamentale ma che preferivo in quel contesto utilizzare la parola candidato in una dinamica di libertà di parola. Non c'era nessuna rivendicazione ideologica ma semplicemente la constatazione che in italiano è corretto riferirsi a una donna sia utilizzando la parola candidata (che non ho nessun problema a usare e l'ho fatto in numerose occasioni) sia candidato al maschile. Lo testimoniano i concorsi pubblici dove viene utilizzata la parola candidato in modo neutro sia per riferirsi agli uomini sia alle donne e perciò, da un punto di vista linguistico, non si tratta di un errore. La questione sembrava finita con uno scambio di opinioni in televisione ma nelle ore successive si è scatenato sui social ai miei danni un vero e proprio linciaggio. Il video è stato condiviso da centinaia di persone entrando ben presto in trend topic su Twitter con le accuse di patriarcato, maschilismo, misoginia, fascismo e così via (d'altra canto che cosa aspettarsi da un maschio cattolico e di destra). In breve si è passati alle minacce, agli insulti a me e alla mia famiglia con centinaia di messaggi pubblici e privati che, se fossero stati inviati a un opinionista di sinistra ci troveremmo a leggere decine di articoli sulla violenza verbale della destra nei loro confronti dei giornalisti di sinistra (di cui si potrebbero raccogliere decine di veri strafalcioni).
Non intendo fare nessuna forma di vittimismo, conosco le «regole del gioco» ma mi chiedo se sia normale ricevere attacchi con una tale veemenza per aver utilizzato una parola declinata al maschile invece che al femminile (cosa che, repetita iuvant, in quel contesto era linguisticamente corretto).
Il punto di questa vicenda non sono però tanto gli haters che si nascondono dietro profili finti quanto i cosiddetti paladini dell'inclusività e della tolleranza pronti a ergersi a poliziotti del linguaggio e a fare l'analisi grammaticale agli altri salvo poi utilizzare scempi linguistici come l'asterisco al posto delle vocali finali e la schwa. Forse avrei dovuto dire Candit* Presidenta oppure Candidt Presidentessa, questo sì che è italiano corretto che sarebbe piaciuto ai maestrini woke.
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