«Cosa ho provato? Disgusto, amarezza. Non l'ho neppure visto il video, mi è bastato leggere cosa è stato detto. Spero che questa persona si scusi, ma dubito che capisca». L'avvocato Emilio Persichetti, studio legale importante a Roma, è un nipote di Claretta Petacci. Suo nonno era il fratello di Giuseppina Persichetti, madre di Claretta («Mi permettete di amare vostra figlia?» chiese Mussolini a Giuseppina), l'amante del capo del fascismo morta fucilata con lui a Giulino di Mezzegra. Paragonata ad un «maiale femmina» da Gene Gnocchi in una truce battuta da Floris su La7 (nel silenzio generale di Boldrini e fronte femminista). Una frase che ha scatenato l'indignazione (ma solo da una parte), e che per Persichetti è ancora più dolorosa perché tocca una pagina tragica della sua famiglia. «Come avvocato dico che è una offesa gravissima perseguibile penalmente» dice il nipote della Petacci, che non nasconde di valutare un'azione legale, anche se sembra avere più voglia di dimenticare l'episodio. Essendo nato nell'aprile del '45, pochi giorni prima dell'esecuzione della zia, Persichetti non può avere memoria diretta, ma indiretta sì, per una coincidenza temporale che sembra uscita da un romanzo. «Proprio il giorno in cui fui battezzato, nella casa di famiglia a Roma, arrivò la notizia di piazzale Loreto e della morte di Claretta, mi raccontano che la cerimonia si interruppe e in casa calò un silenzio gelido».
L'insulto del comico appare particolarmente infame: «Penso che quando una donna si sacrifica sapendo che rischia la vita per un amore grande e vero, meriti il rispetto. Claretta in quei giorni era a Roma, poteva salvarsi, invece decise di partire con Mussolini, per puro amore. E quando fu il momento della fucilazione gli fece scudo col suo corpo. Ecco quando l'amore si incontra con la morte, c'è l'eroismo. Anche Pertini in una intervista alla Rai spiegò chiaramente che Clara, come la chiamava lui, non doveva morire, perché l'obiettivo era Mussolini, non certo lei. Come si fa a offendere così volgarmente la memoria di una donna che si fa uccidere per amore?».
La storia dei Persichetti si incrocia con quella dei Petacci in modo sorprendente, nei giorni in cui in Italia la divisione tra fascisti e antifascisti poteva dividere in due una stessa famiglia. Un altro nipote di Giuseppina Persichetti, quindi cugino di Claretta, era Raffaele Persichetti. Giovane tenente dei granatieri, medaglia d'oro al valor militare perchè due giorni dopo l'8 settembre, in congedo a Roma perché invalido, si arma sommariamente e in abiti civili guida la resistenza sulla linea del fuoco di porta San Paolo contro i tedeschi, e viene ucciso da una mitragliata il 10 settembre 1943, a 28 anni. Questa la storia del cugino antifascista dell'amante del Duce, Raffaele Persichetti. «Al mio primogenito ho dato il nome di Raffaele» racconta l'avvocato.
Sulla storia d'amore tra la Petacci e «Ben», come lo soprannominava lei, Gene Gnocchi si può documentare attraverso vari libri, oltre ai volumi storici, la biografia scritta da Roberto Gervaso, quello di Vespa su amore e potere. E poi il carteggio tra i due amanti, «a volte struggente a volte patet ico» scrive Mario Cervi, fino agli ultimi giorni, i più cupi, in cui Mussolini si autodefinisce «un cadavere vivente», e la Petacci gli risponde «caro Ben, il popolo non ti merita.
Il destino dei grandi è di essere tradito». Vicino alla fine, Mussolini mette a disposizione della famiglia Petacci un aereo per riparare in Spagna, ma Claretta rifiuta. Scriverà: «Non lo abbandonerò mai, qualunque cosa avvenga». Uccisa e oltraggiata, due volte.
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