Iran, conti bloccati a chi è senza velo

Pene più "moderne" per abbigliamento improprio. E un sms di avviso

Iran, conti bloccati a chi è senza velo

Il regime iraniano sembra voler ridurre il ruolo della polizia religiosa ma rilancia su obbligo del velo e controllo dei costumi. Il piano statale iraniano «Efaf (castità) e Hijab» sarà pronto in due settimane e prevedrà «misure punitive più moderne e precise contro l'abbigliamento improprio». A dirlo è Hossein Jalali, membro del Consiglio islamico e della Commissione culturale. Jalali ha poi aggiunto che «quando sarà operativo, i Gasht-e-Ershad, la polizia morale, sarà sostituita da nuove misure. Ad esempio, le donne che non osservano l'hijab riceveranno prima notifiche via sms, poi avvertimenti e in una terza fase il loro conto bancario potrebbe essere bloccato». Jalali aveva fatto riferimento nei giorni scorsi a nuovi provvedimenti riguardo all'uso del velo in pubblico, obbligatorio nella Repubblica islamica fin dalla sua fondazione nel 1979. Ma ha precisato che «non ci sarà alcun ritiro dal piano dell'hijab perché il ritiro significa il ritiro della Repubblica islamica».

Il velo è avvertito come sempre più insopportabile dalle iraniane e la popolazione chiede anche riforme urgenti non più procrastinabili sia sociali sia economiche. Le tensioni sono confermate dallo sciopero di tre giorni che sta paralizzando il Paese. E gli attivisti di Human Rights Network Kurdistan riferiscono di minacce a negozianti dei bazar da parte di agenti dell'amministrazione locale per fermarlo. I Pasdaran hanno anche arrestato 12 presunti «sabotatori» nella provincia di Markazi, a sud-ovest di Teheran. Il gruppo avrebbe avuto «collegamenti con l'estero» in particolare con «agenti controrivoluzionari che vivono in Germania e nei Paesi Bassi», Paesi che si aggiungono a quelli considerati «nemici» da Teheran come Usa, Israele e Arabia Saudita.

La repressione prosegue implacabile. Cinque degli arrestati per aver ucciso a pugnalate il membro delle forze paramilitari basij Ruhollah Ajamian, il 3 novembre a Karaj, sono stati condannati a morte, con l'accusa di «corruzione in Terra». «Altri 11 imputati nello stesso caso, tra cui tre minorenni, sono stati condannati a 18 anni di reclusione», ha spiegato il portavoce della magistratura Massoud Setayeshi. Il regime colpisce pure la stampa. Sono una quarantina i giornalisti in prigione, ieri è toccato al vicedirettore dell'agenzia Fars, Abbas Darvish Tavanger. Ma gli iraniani non si fanno intimidire.

L'atleta Fasiheh Radmanesh si è presentata ad Antalya, in Turchia, sul podio di una gara di boxe thailandese con l'hijab obbligatorio e le tre parole «Donna, vita, libertà» disegnate sulla faccia e ha dedicato il suo terzo posto al «popolo iraniano che cerca l'uguaglianza e ama la libertà».

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