Nessun passo indietro da parte del regime iraniano. In una nota ufficiale il ministero dell'Interno di Teheran ribadisce che l'hijab obbligatorio per le donne è «uno dei fondamenti della civiltà della nazione iraniana» e «uno dei principi pratici della Repubblica islamica», «non c'è stato e non ci sarà alcun ritiro o tolleranza nei principi e nelle regole religiose e nei valori tradizionali». E ancora: «L'hijab e la castità dovrebbero essere tutelate per rafforzare le fondamenta della famiglia».
Intanto proseguono nel Paese le chiusure di centri e negozi per il mancato rispetto dell'obbligo di dipendenti e clienti. È bene ricordare però che il velo non ha mai avuto una valenza esclusivamente religiosa. È pure un simbolo politico, in passato contro il regime degli scià che voleva imporre un codice di abbigliamento più moderno e occidentale. Dalla rivolta contro il velo è scaturita una feroce repressione che continua ancora oggi. Da anni l'Iran considera Israele suo nemico giurato e insieme agli Stati Uniti, male assoluto. Ora il tribunale di Urmia, nel nord ovest dell'Iran, ha condannato a morte cinque persone accusate di attività di spionaggio a favore dello Stato ebraico, e ad altri cinque è stata inflitta una pena di 10 anni di reclusione per accuse analoghe. I fatti risalirebbero a prima della protesta antigovernativa scoppiata a settembre per la morte di Mahsa Amini. A darne notizia è Hengaw, la Ong con sede in Norvegia che si occupa delle violazioni sui diritti umani dei curdi in Iran. Secondo la Ong, i condannati hanno subito tra il 2021 e il 2022 torture in carcere e sono stati tenuti in regime di isolamento. Alcuni di loro hanno protestato anche con uno sciopero della fame.
Continuano pure ad arrivare le storie dei manifestanti colpiti agli occhi da proiettili pellet, considerati non letali. Sui social è diventata virale la storia di Zaniar Tondro, ferito a un occhio che in seguito ha perso. Il giovane, che ha compiuto 18 anni il 26 marzo scorso, è stato costretto a lasciare l'Iran per motivi di sicurezza. Con il padre, ha cercato di raggiungere l'Europa con una piccola imbarcazione che però è stata rintracciata dalla polizia greca e consegnata alle autorità turche. Ora si trova in un campo profughi nella provincia di Mughla. C'è poi il caso della 26enne Elaeh Tavaklian, madre di due figli piccoli, colpita anche lei da un pellet all'occhio destro durante una manifestazione il 28 marzo. Dopo giorni è arrivata in Italia ed è stata sottoposta a un intervento chirurgico alla testa a Milano, dove le è stato estratto il proiettile e ora grazie a una campagna di crowdfunding si trasferirà a Roma dove dovrebbe inserire al posto dell'occhio una protesi.
Elaeh è diventata uno dei simboli della lotta al regime. Ha «nascosto» la sua ferita all'occhio con un piccolo cuore bianco, un'immagine che ha fatto il giro del mondo. «Avrei potuto perdere l'occhio destro, e quindi un dono di bellezza a cui tenevo tantissimo, per un incidente. Sarebbe stata una privazione inutile, mentre questo sacrificio ha fatto sì che io diventassi la voce di moltissime persone del mio Paese che stanno perdendo tanto: la vita, la bellezza», ha spiegato l'attivista.
Centinaia di iraniani hanno subito gravi ferite agli occhi dopo essere stati colpiti da pallottole, lacrimogeni, proiettili di gomma o altri proiettili usati dalle forze di sicurezza durante la sanguinosa repressione. Ad oggi, sarebbero almeno 580 i manifestanti che hanno perso uno o entrambi gli occhi solo a Teheran e nel Kurdistan. Ma i numeri reali in tutto il Paese potrebbero essere molto più alti.
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