Uno studio che arriva dall'Irlanda spiega come il Covid si trasmetta quasi esclusivamente in spazi chiusi. L'analisi - pubblicata nel Paese del trifoglio dall'Irish Time e realizzata dall'Health Protection Surveillance Centre (Hpsc), agenzia che monitora la pandemia - certifica che in Irlanda, dalla comparsa del coronavirus fino al 24 marzo scorso, solo 262 casi sono il risultato di un contagio avvenuto all'aperto, ovvero lo 0,1 per cento del totale di 232.164 casi conteggiati dall'inizio dell'emergenza. Secondo l'Hpsc sono 42 i focolai associati ad assembramenti all'aperto, soprattutto all'interno di cantieri edili (21 focolai per 124 casi) o legati ad attività sportive di gruppo (20 focolai per 131 positività). Nel 20 per cento di questi casi non è stato nemmeno possibile individuare la fonte originaria che ha determinato l'infezione. I numeri irlandesi confermano dati che sono emersi da altri studi internazionali. Come quello cinese basato su 1.245 casi che ha constatato che solo tre individui hanno contratto il Covid restando all'aperto e i motivi sarebbero da ricondurre al mancato utilizzo delle mascherine protettive. Un'altra analisi fatta dall'Università della California, che ha messo insieme cinque studi sull'argomento, ha stabilito che la possibilità di ammalarsi di Covid in un ambiente chiuso sia 19 volte maggiore che in uno aperto. Mike Weed, professore all'Università di Canterbury, ha invece analizzato oltre 27mila casi Covid di cui 7.500 provenienti da Cina e Giappone in un periodo di tempo precedente ai lockdown imposti dai rispettivi governi.
Di questi, il numero di contagi avvenuti all'aperto era talmente piccolo «da risultare insignificante».«È la dimostrazione che le attività all'aperto sono più sicure», ha commentato Ed Lavelle, professore di biochimica al Trinity College di Dublino.
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