Non è finita qui. Anzi, per quanto le immagini che ci passano davanti siano quasi insostenibili, segno del terrore di questi giorni, forse, siamo solo all'inizio. Basti soppesare quanto detto da Ali Baraka, uno dei dirigenti di Hamas che ha raccontato come il sanguinoso attacco terroristico contro Israele abbia richiesto due anni di preparazione, nei quali solo pochissimi hanno coordinato l'operazione e sapevano realmente cosa stesse accadendo. Impossibile adesso ipotizzare che un attacco del genere, con un'organizzazione del genere e un orrore del genere, non porti a conseguenze senza precedenti.
Ieri l'esercito israeliano ha continuato gli attacchi e i bombardamenti a Gaza, sconfinando (a quanto denuncia Damasco) anche in Siria. L'esercito quantifica in 6mila le bombe sganciate su Gaza da sabato in risposta al raid di Hamas. Di contro, le brigate Al-Qassam, ala militare di Hamas nella Striscia, hanno lanciato un nuovo attacco missilistico sulla città israeliana di Sderot con 50 missili. Poco prima della mezzanotte locale, la città sarebbe stata evacuata perché l'esercito potesse «svolgere in sicurezza le sue missioni di combattimento», come chiesto dal sindaco Alon Davidi. Attaccata anche Beit Shemesh, a ovest di Gerusalemme. Nella capitale c'è stato un attentato vicino alla città vecchia, nei pressi della porta di Erode. Due agenti della sicurezza feriti, uno gravemente. «Non abbiamo paura. Gaza non è un giardino e gli costerà molto caro» ha detto Ghazi Hamad, dell'ufficio politico di Hamas. «I nostri combattenti sono riusciti a distruggere l'immagine, la sicurezza, l'intelligence di Israele e la sua immagine di superpotenza. Ora anche le persone ai confini di Giordania, Libano e ovunque, vogliono venire qui e combattere con noi». Ma il conto alla rovescia per l'offensiva di terra israeliana va avanti. Il capo di stato maggiore dell'esercito Herzl Halevi ha fatto mea culpa per le falle nella difesa: «L'esercito israeliano non ha adempiuto ai suoi doveri di responsabilità nei confronti dello stato di Israele e dei suoi cittadini», ha detto, per poi aggiungere: «Ora è il tempo della guerra. Gaza non sarà più la stessa. La smantelleremo». Il portavoce militare Richard Hecht ha spiegato che «ci stiamo preparando per una operazione via terra se ci sarà una decisione in tal senso, i soldati sono pronti». Manca solo il via libera, con la Knesset che ieri ha dato l'ok al governo di emergenza.
Intanto i media siriani riportano che gli aeroporti di Damasco e Aleppo sono fuori servizio dopo gli attacchi israeliani anche se il governo di Gerusalemme non ha confermato. Non è una novità: la Siria è spesso usata come corridoio su cui viaggiano le armi ai guerriglieri di Hezbollah. Il gruppo integralista attivo nel sud del Libano ha rivendicato ieri l'uccisione di un soldato israeliano, confermata dall'esercito dello Stato ebraico.
Il fronte caldissimo resta la Striscia di Gaza. I civili sono costretti in una morsa senza via d'uscita. Mentre è arrivata la prima spedizione di aiuti umanitari dalla Giordania, l'Egitto fa sapere che «il valico di frontiera di Rafah è aperto al traffico e non è stato mai chiuso dall'inizio della crisi». Anche se due diversi portavoce riportano due versioni differenti. Un primo dice che «è probabile che il valico venga aperto entro domani mattina per sei ore», mentre un secondo spiega che l'Egitto è pronto ad aprirlo se Israele darà il suo ok a un cessato il fuoco. Chiaro segno di confusione in un Paese che teme un'ondata di sfollati. Proprio mentre i jet israeliani hanno sganciato volantini sul nord di Gaza per dire ai residenti di evacuare le loro case, Hamas respinge invece la proposta di aprire un corridoio umanitario.
Una fonte spiega che questo «costringerebbe il popolo palestinese ad abbandonare la propria patria per un nuovo esodo e la ricerca di rifugi». Il non detto è che ai terroristi i civili servono come arma di ricatto e scudi umani. Mentre la Striscia è ormai sull'orlo del collasso.
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