Gerusalemme Da ieri, con un precedente pesante nel giorno avanti, in Israele ci si barcamena sull'orlo dello scontro duro. Che Abu Mazen si figurasse che ieri a Gerusalemme ci sarebbero stati tre attacchi terroristici di concerto con tutte le sue proteste, è realistico. Che sappia ora cosa farsene, meno. È cominciato alle due di notte, quando un giovane palestinese ha travolto con l'auto un gruppo di reclute di ritorno dal Muro del Pianto dopo il tradizionale giuramento. Quattordici sono stati feriti, uno è ancora in condizioni molto critiche, nove sono già a casa. Dopo una caccia di alcune ore, il terrorista è stato catturato. Più avanti, verso mezzogiorno è stata la volta di un attacco con la pistola in Città Vecchia, un poliziotto ferito e il terrorista (proveniente da Haifa) ucciso; e infine un altro attacco a fuoco a nordvest di Gerusalemme, dove un soldato è stato ferito da un'arma da fuoco, e il terrorista è fuggito.
La notte prima durante gli scontri seguiti alla demolizione della casa di Ahmed Kunbam, l'assassino del rabbino Raziel Shevach, un poliziotto palestinese è stato ucciso; come a Hebron un giovane che aveva lanciato una bottiglia molotov sui soldati. In Israele la critica sul perché in tempi così delicati non si siano evitati questi sviluppi è vivace. La confusione è pesante e sanguinosa, ed è difficile capire se si va a un'Intifada, a chi conviene, se questo è ciò che Abu Mazen cerca quando attacca con disprezzo il piano di pace di Trump. Nella foga della rabbia alla Lega Araba ha detto che in Israele non ci sono ebrei, ma russi e etiopi, e quindi questo non è lo stato ebraico. In realtà il capo dell'Autorità Palestinese poi non rivendica gli attentati e sembra non voler mantenere le minacce di rompere gli accordi sicurezza. Tali accordi di fatto lo proteggono da Hamas con cui è in atto da 14 anni uno scontro mortale. Hamas, sì, rivendica gli attacchi, incita a moltiplicarli con tutti i mezzi, lancia da Gaza grappoli di palloni con appesi esplosivi che possono cadere su scuole e case, e terrorizzano gli abitanti del sud.
Hamas vuole mostrare di essere forte sul terreno, ma di fatto è Abu Mazen quello che inanella ancora la collana di «no» di cui i palestinesi hanno costellato la loro guerra dal 1948, rifiutando tutte le proposte, puntando su un sostegno internazionale fatto di paura e di opportunismo. Questo ha mostrato nelle scorse ore di volergli fornire il nuovo commissario europeo Jossef Borrell. Il sostituto della Mogherini, noto per il geniale pensiero «si sa che l'Iran vuole distruggere Israele, dobbiamo convivere con questo», ha pensato bene di far coincidere la sua visita ufficiale in Iran per salvare l'accordo da cui ormai anche l'Ue dà segni chiari di volersi staccare, a una mozione di condanna della proposta di pace di Trump. La sua proposta aveva la forma di un «avvertimento» allo Stato d'Israele, cui si diceva che «qualsiasi passo verso eventuali annessioni non rimarrà, semmai, senza risposta» e aggiunge che «in linea con la legge internazionale e le relative risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, l'Ue non riconosce la sovranità israeliana su territori occupati». Una presa di posizione contestata giuridicamente e politicamente ma che piace ai palestinesi. Fattostà che sei Stati, fra cui l'Italia, hanno impedito quell'unanimità che rende attuative le mozioni della Commissione. E allora Borrell ha costruito una sua lettera contro ogni prassi istituzionale, per avere le firme dei vari Stati.
Nel frattempo ha ricevuto una proposta scritta del rappresentante del Lussemburgo che vuole riconoscere lo Stato Palestinese. Da queste parti, questo si trasforma in incitamento, sulla pelle di israeliani e palestinesi.
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