Se gli anni più bui di crisi e recessione sono alle spalle come dicono le statistiche su crescita e Pil, la lenta ripresa del mercato del lavoro parla soprattutto straniero, rivela l'Istat. Servizi, agricoltura, industria, costruzioni, mansioni meno qualificanti e spesso più usuranti a cui si accede con un diploma o con una la licenzia media sono appannaggio dell'immigrazione: dal 2014 a oggi il tasso di occupazione degli stranieri residenti nel nostro Paese è cresciuto a un ritmo più sostenuto di quello degli italiani. Il primo trimestre di quest'anno consegna infatti alle elaborazioni dell'Istat 326mila occupati in più rispetto al 2016 (+1,5%), ma la percentuale di chi ha un lavoro è più alta tra la popolazione straniera (con il 59,7%) che tra le famiglie italiane, ferme al 56,9%. Il divario è ancora maggiore tra gli uomini: gli stranieri occupati sono il 71,7%, gli italiani il 65,7%, mentre le donne impiegate sono rispettivamente il 49,3% e il 48,1%. E se è vero che la disoccupazione è scesa, è calata soprattutto tra gli immigrati: il tasso è diminuito dello 0,7% nel primo trimestre 2017 rispetto allo stesso periodo del 2016, mentre tra gli italiani c'è stato un aumento dello 0,1%.
Che l'occupazione sia più alta tra gli stranieri è una costante degli ultimi anni, e nonostante si sia anch'essa contratta nei picchi della crisi economica continua a mostrare molta più resilienza rispetto a quella degli italiani. Basti leggere come il dato si riflette sul Fisco: dal 2010 al 2016 l'Irpef degli stranieri è aumentato del 13,4%, mentre il gettito degli italiani è diminuito dell'1,6%. Allargando poi lo sguardo all'ultimo decennio, tra il 2005 e il 2015, i dati assoluti Istat rivelano che gli stranieri che hanno trovato un impiego sono aumentati di 1,2 milioni (di cui 623 mila donne e 578 mila uomini), mentre un milione e centomila italiani hanno perso l'impiego sotto i colpi della crisi. Un'emorragia che è andata a ingrossare le fila delle liste di disoccupazione o quelle degli inattivi, la categoria di persone che non hanno un lavoro e che rinunciano persino a cercarlo. Anche qui, gli inattivi extra Ue sono meno di quelli italiani, rispettivamente al 35% e al 29%.
Negli ultimi tre anni poi, l'arco che va dalla lenta uscita dalla recessione fino alla flebile ripresa, i lavoratori immigrati sono cresciuti più rapidamente di quelli italiani. Dei 701mila dipendenti in più nel primo trimestre del 2017 rispetto allo stesso periodo del 2014, ha calcolato Linkiesta, 501mila sono italiani e 187mila stranieri. Tradotto, oltre il 26% dei nuovi occupati degli ultimi tre anni è immigrato, a fronte di una comunità (in testa ci sono Albania, Romania, Marocco) che è pari al 10% della popolazione italiana. Tralasciando la voragine del lavoro nero, del caporalato e dello sfruttamento che si alimenta soprattutto dei flussi di migranti irregolari, scorrendo i titoli di studio dei dipendenti stranieri emerge un'egemonia negli ambiti meno qualificati. Il tasso di occupazione tra chi ha la licenza media è cresciuto del 3,7% dal 2014 a oggi, mentre l'aumento degli immigrati laureati in tre anni non supera lo 0,3%.
Insomma, ingegneri,
medici, avvocati sono professioni italiane, mentre la concorrenza è più forte in quelle meno specializzate: badanti, assistenti, camerieri, operai, addetti. Quelli che, nelle statistiche, fanno respirare il mercato del lavoro.
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