E dai Mario, resta. Non glielo dice proprio cosi, anzi lei del premier non parla proprio, non lo cita neanche, non è la sede adatta, ma insomma, il senso politico delle parole della von der Leyen alla Cattolica di Milano è chiaro. «La gestione della pandemia è stata efficace, la vaccinazione va come un treno, l'economia sta crescendo più in fretta che mai, il Pil tornerà ai livelli pre-crisi già entro la metà del prossimo anno». Numeri record. Italia superstar, prima della classe, esempio per i partner. «Gli ordinativi sono in aumento, le imprese sono alla ricerca di personale, negli ultimi anni non ci sono mai state tante offerte di lavoro»: e tutto ciò, secondo la presidente della Commissione europea, è merito di Draghi. Dunque, caro Mario, resta a Palazzo Chigi e completa il lavoro, anche perché, ricorda Ursula, adesso c'è un corposo Pnrr da più di duecento miliardi da far funzionare.
Il Financial Times «preoccupato per la stabilità italiana» se il premier traslocherà al Quirinale, l'Economist che ci ha definito «Paese dell'anno», ora pure gli elogi pubblici della von der Leyen durante la cerimonia per il centenario dell'università del Sacro Cuore. L'Europa e i mercati hanno scelto e vogliono che il presidente del Consiglio rimanga alla guida del governo. E oggi a Roma arriva il nuovo cancelliere tedesco Olaf Scholz per un incontro bilaterale il cui tema principale sarà la revisione delle regole di Maastricht e la fine dell'austerity. Argomenti fondamentali per il futuro dell'Unione, decisioni da prendere, scelte operative per le quali sembra più utile un Draghi a Palazzo Chigi che sul Colle. E alle crescenti spinte internazionali si sommano quelle giunte negli ultimi giorni da diversi partiti, che in varie forme e con diverse strategie gli chiedono la stessa cosa: Mario, resta dove sei.
Ma lui, Mario, che ne pensa? In Parlamento, e pure nel governo, la corrente di pensiero più diffusa sostiene che l'idea di trasferirsi al Quirinale non gli dispiaccia affatto, soprattutto se si accorgerà che dopo la nomina del successore di Sergio Mattarella, in mancanza di un patto e di un accordo ampio, il clima sarà destinato a gustarsi in fretta e i margini di manovra a Palazzo Chigi si ridurranno. Già adesso è difficile governare con questa strana maggioranza, figuriamoci con i partiti in campagna elettorale.
Perciò gli occhi di tutti sono puntati sulla conferenza stampa di fine d'anno di mercoledì, durante la quale Draghi traccerà un bilancio e forse, chissà, farà capire che cosa vuole fare da grande. Speranza che probabilmente rimarrà tale, qualunque sia l'intenzione del premier. Primo, al Colle non ci si candida: la questione non è nella sua «disponibilità», bensì è materia di competenza parlamentare. Secondo, anche una vaga disponibilità lo esporrebbe alle manovre di chi gli vuole sbarrare la strada. Terzo, come ha spiegato ai ministri, lui «pensa a governare» e qualunque cosa dichiari in un senso o nell'altro, qualunque umore lasci trapelare in questo momento, destabilizzerebbe il quadro politico e complicherebbe il salvataggio sanitario ed economico dell'Italia. Magari farà un cenno alla durata della legislatura, augurandosi che arrivi a scadenza naturale nel 2023, lasciando così libere le varie interpretazioni. Vuole che duri perché deve completare la missione di governo? Non vuole che il primo atto da capo dello Stato sia lo scioglimento anticipato delle Camere?
Poi, il virus. L'aumento dei contagi, con gli ospedali che si riaffollano sotto Natale e le vaccinazioni da estendere, è la variabile.
Mercoledì, dopo la conferenza stampa in diretta televisiva, il premier riunirà la cabina di regia per esaminare gli ultimi dati sul Covid e decidere quali misure prendere. Il punto non è se ci sarà una stretta, ma quanto sarà energica. Ecco, la pandemia può davvero rimescolare le carte. Si può passare la mano in piena tempesta Coronavirus?
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