"Italia sempre più centrale per il tabacco del futuro". Intervista a Marco Hannappel

L'ad di Philip Morris nel nostro Paese: "Siamo innovativi. Con noi i coltivatori guadagnano il 25% in più"

"Italia sempre più centrale per il tabacco del futuro". Intervista a Marco Hannappel
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Marco Hannappel, presidente e amministratore delegato di Philip Morris Italia, sono passati dieci anni dal primo Iqos, oggi presentate Iqos Iluma i Prime, il settimo dispositivo dotato di touch screen e possibilità di mettere in pausa la fumata. Come ci siete arrivati?

«Abbiamo operato una trasformazione aziendale senza precedenti, non so quante altre realtà abbiano fatto qualcosa di simile a Philip Morris. Ho avuto la possibilità di osservarla da vicino in questi anni e devo dire che abbiamo lavorato a una velocità incredibile, perché apportare sette evoluzioni dal primo Iqos fino al dispositivo che presentiamo oggi significa avere un ritmo di innovazioni come quello di un'azienda tech».

Avete puntato molto sull'Italia. A Crespellano, in provincia di Bologna, avete investito 1,5 miliardi per il più grosso stabilimento costruito in Italia negli ultimi venticinque anni. Perché?

«Lo abbiamo inaugurato a novembre 2016, ed è un impianto produttivo unico. È stato il primo di questo tipo al mondo e aveva il compito di inventare un processo produttivo. Un orgoglio per me, che sono italiano, e tra l'altro è stato realizzato con macchinari frutto del genio italiano: su 650 aziende, circa 600 erano del nostro Paese. Realtà che, non a caso, hanno fatto dell'Italia la seconda manifattura europea. Non ci fossero stati queste competenze e fornitori, l'Italia non avrebbe superato le candidature di altri Paesi. Così come una volta si parlava della motor valley in Emilia Romagna, noi abbiamo contribuito a creare una valley dei prodotti innovativi senza combustione».

La strategia punta sullo sviluppo dei prodotti senza fumo, sulla quale Philip Morris ha già investito 12,5 miliardi di dollari a livello globale. L'obiettivo è, entro il 2030, di realizzare i 2/3 dei ricavi con i prodotti di nuova generazione. Come è messa l'Italia?

«Siamo partiti insieme al Giappone, quest'ultimo mercato ha già raggiunto l'obiettivo mentre in Italia ci siamo vicini, sono certo che lo centreremo prima del 2030».

L'indotto di questo stabilimento vale 10 miliardi, mezzo punto di Pil. Voi, con il ministero dell'agricoltura, avete raggiunto un'intesa per investire 500 milioni di euro per i prossimi cinque anni per acquistare circa il 50% della produzione italiana di tabacco. La vostra alleanza, quindi, è anche con gli agricoltori?

«Certamente, quello firmato con il Masaf è un accordo unico nel suo genere, per la mole di investimenti e per l'orizzonte temporale di cinque anni che prevede. Noi lavoriamo con Coldiretti già dai primi anni Duemila, la prima intesa di questo tipo risale al 2011. Lo abbiamo rinnovato l'anno scorso e pensiamo di farlo anche a fine anno. I mille coltivatori Coldiretti che aderiscono sanno che il loro raccolto verrà comprato al 100% per i prossimi 5 anni, il che consente loro di pianificare molte attività: dall'ottimizzazione della risorsa idrica, a quella energetica, fino all'attenzione al loro personale. Noi li aiutiamo a integrare nuove tecnologie: per esempio, abbiamo un accordo con una startup trentina che ha inventato una tecnica per regolare l'irrigazione in base alle previsioni meteo».

L'Italia, peraltro, è un grande produttore di tabacco.

«Siamo il più grande produttore europeo, un terzo del tabacco continentale è prodotto nel nostro Paese».

La vostra alleanza con gli agricoltori a quali risultati ha portato?

«In questi 20 anni di collaborazione siamo riusciti a risparmiare il 40% di acqua, l'equivalente della portata del lago Maggiore. Non solo: una ricerca del centro studi Divulga ci ha detto che, in media, i coltivatori che fanno parte del nostro accordo hanno il 25% di redditività in più rispetto a quelli dello stesso settore che ne sono rimasti fuori. Il nostro accordo di filiera è stato il primo, poi è stato replicato in altri settori come pasta e pomodoro: un altro motivo di orgoglio per noi».

Voi cosa state facendo per alimentare il fabbisogno di formazione e competenze?

«Lavoriamo con l'università di Perugia in ambito agritech, ma anche con Politecnico di Torino, Bari e l'Università di Bologna.

Due anni fa, inoltre, abbiamo inaugurato a Bologna il nostro Institute for manufactoring competences, un'accademia aziendale con cui formiamo le persone delle piccole e medie imprese. Il nostro è un modello replicabile. Una partnership tra pubblico e privato come questa può tra l'altro aiutare a formare i professionisti del futuro».

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