"In Italia si lavora già per il reattore europeo"

Il professore di Fisica sperimentale: "Gli americani? Sono grandi comunicatori"

"In Italia si lavora già per il reattore europeo"

Piero Martin sta lavorando alla via italiana per la fusione nucleare. Che in realtà è qualcosa di più grande, parte di un progetto senza barriere che coinvolge Paesi del mondo che altrimenti non si parlano. Potere della scienza, e di un progetto di cui il professore di Fisica Sperimentale dell'Università di Padova è protagonista: si chiama Dtt ovvero Divertor Tokamak Test facility e sta nascendo a Frascati.

Facciamo ordine professore: che ne pensa dell'annuncio americano?

«Dico che negli Usa, come sempre, sono ottimi comunicatori. Di sicuro è un passo avanti nella ricerca della soluzione finale. E si affianca all'approccio che stiamo seguendo noi».

In che senso?

«Le strade per arrivare alla fusione nucleare sono due: al Lawrence Livermore National Laboratory si sono serviti di 192 laser per comprimere la materia a una densità tale da provocare la fusione. Una tecnica che viene molto utilizzata negli Stati Uniti dove hanno strutture enormi, molte tra l'altro di rilevanza strategica».

Qui da noi, invece?

«Il nostro approccio è invece di riscaldare la materia a temperature altissime con onde elettromagnetiche e acceleratori di particelle e contenerla in una gabbia magnetica a forma di ciambella, in modo che non si disperda e così da poter sfruttare l'energia rilasciata».

Cosa è meglio?

«Potrei dire ciò che porterà a un processo che funziona, un meccanismo per cui se investi uno ottieni, in termini energetici, una notevole amplificazione. Riguardo all'annuncio Usa, pur importante, sarei cauto sul fatto che sia la soluzione finale: c'è ancora tanto da fare. Certo però che quanto è successo potrebbe accelerare tutto».

Cosa si fa in Italia intanto?

«Siamo impegnati in due grosse partite: a Padova al Consorzio RFX stiamo costruendo un acceleratore di particelle che sarà un pezzo importane di ITER, la prima centrale di fusione nucleare che a partire dagli inizi del prossimo decennio in Francia comincerà a cercare di arrivare alla soluzione. A Frascati invece nascerà una sorta di galleria del vento più piccola e flessibile, banco di prova per questo grande obbiettivo. Io partecipo al lavoro di questo consorzio Dtt che ha come protagonisti Enea, Eni e varie università ed enti di ricerca nazionali».

Chi fa parte di ITER?

«ITER spiega come il nucleare pulito metta d'accordo tutti. Nel consorzio ci sono infatti Unione Europea, Usa, Cina, Russia, India, Corea del Sud e Giappone. Una specie di Onu dell'energia nel quale ogni parte si occupa di un pezzo».

Quando entrerà in funzione il Dtt di Frascati?

«È in costruzione, l'entrata in funzione è prevista nel 2028 e lavorerà per circa 20 anni come supporto di ITER e per lo sviluppo di un prototipo di reattore che produca energia elettrica».

Quando questa energia arriverà nelle nostre case?

«La risposta prudente che do sempre è: nella seconda metà del secolo. In realtà ci sono tanti fattori che entrano in gioco, tipo per esempio quello che sta succedendo in Ucraina e che ha bloccato in Germania la dismissione dei reattori a fissione».

E quindi?

«Una frase che cito spesso è quella di uno dei padri di questa disciplina: la fusione arriverà quando l'umanità ne avrà bisogno. Fino ad oggi sull'energia si è investito poco: rispetto a quanto si spende per gli armamenti il rapporto è un cent per ogni dollaro. Ora però ci siamo accorti che un gasdotto può fare tanti danni e che una guerra può toglierci tutto. Gli investimenti miliardari che stanno arrivando dai privati posso avvicinare, e di molto, l'arrivo al traguardo».

La fusione nucleare cambierà il mondo?

«Cambierà la società, non va dimenticato l'aspetto etico e sociale. E che l'energia è stata il motore appunto di tantissime guerre. È chiaro che bisogna procedere in parallelo con lo sviluppo scientifico e con un'estrema attenzione alla sostenibilità e all'etica.

Solo per fare due esempi, c'è il tema delle terre rare necessarie per lo sviluppo delle rinnovabili e per le quali oggi in gran parte dipendiamo dalla Cina, e quello dello sviluppo dell'energia elettrica nei Paesi che ancora ne sono carenti. Si deve fare insomma una riflessione su come il beneficio possa essere per tutti. Ma è necessario cominciare a farlo ora».

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