Il Jobs Act crea lavoro, Cgil lo licenzia

Il sindacato rosso esulta: "Ok le firme per cancellarlo". Ma l'occupazione è da record

Il Jobs Act crea lavoro, Cgil lo licenzia
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La Cgil esulta e ora vede l'obiettivo di fare a pezzi l'odiato Jobs Act, la riforma del lavoro che ha abbattuto il totem dell'articolo 18. Una ferita mai completamente ricucita nel mondo della sinistra, tanto che il sindacato rosso lo scorso 25 aprile ha lanciato una campagna referendaria per farlo tornare e, ieri, ha superato il mezzo milione di firme necessarie per richiedere la consultazione abrogativa della legge varata dal governo Renzi.

Ma siamo sicuri che, al di là degli slogan dal facile consenso, il ritorno al passato sia una cosa vantaggiosa per i lavoratori? I numeri del mercato del lavoro ci dicono che ci sarebbero più rischi a tornare indietro, piuttosto che a guardare avanti. Infatti, la fotografia dell'Istat risalente al primo trimestre del 2015 l'ultima utile prima dell'entrata in vigore del Jobs Act racconta di un'Italia che aveva un tasso di occupazione del 55,5%, mentre ad aprile 2024 si è raggiunto un nuovo record a quota 62,3 per cento. Numeri su cui la riforma ha evidentemente inciso positivamente. Il sindacato guidato da Maurizio Landini replicherà allora che il numero delle persone al lavoro non sono indicative di nulla, ma che il suo referendum, che conta quattro quesiti, punta a un lavoro stabile, dignitoso, tutelato e sicuro. Ma anche in questo caso ricondurre una presunta ondata di precarizzazione del lavoro al Jobs Act sembra fuori luogo: del resto, a fine marzo 2015 gli assunti a tempo indeterminato erano circa 14,5 milioni mentre oggi sfiorano i 16 (1,5 milioni in più in meno di un decennio). Quindi se è vero che sul lavoro incidono numerose dinamiche, quanto meno si può dire che la normativa ha reso il mercato del lavoro più flessibile e dinamico, rendendo l'Italia un Paese più moderno dove è più facile avere opportunità di lavoro. Dei numeri, evidentemente, se n'è accorto il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, che ha definito il Jobs Act «una grande riforma». Possibile che non si veda che la disoccupazione si sia quasi dimezzata passando dal 13 al 6,9% del 2024? Dalle parti della Cgil, con furore ideologico, si intende comunque tirare diritto: le 582.244 firme raccolte finora non bastano, si andrà avanti per garantirsi la massima partecipazione possibile prima di consegnare le firme in Cassazione il 18 o il 19 luglio. Dopo il deposito dei quesiti, la Cassazione si occuperà di vagliare la validità e il numero delle sottoscrizioni. Se ci sarà il via libera, la parola passerà alla Consulta, alla quale spetta l'esame della legittimità costituzionale dei quesiti.

«Nei territori e nei luoghi di lavoro - ha dichiarato il segretario organizzativo della Cgil, Luigi Giove - stiamo riscontrando un grande interesse attorno ai temi proposti dalla nostra organizzazione». In particolare, per il Jobs Act si vorrebbe cancellare la famosa norma sui licenziamenti, che ora prevede un indennizzo al lavoratore tarato sull'anzianità e non più il reintegro in azienda. Nel mirino del sindacato anche il tetto massimo all'indennizzo in caso di licenziamento nelle piccole aziende e la reintroduzione delle causali per i contratti a termine. Il referendum toccherà anche le normative sugli appalti e la responsabilità del committente in caso di infortunio.

Interpellato a margine dell'assemblea di Confcommercio, il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha commentato: «Come sempre decideranno gli

italiani i quali hanno ben compreso quale sia la politica di questo governo» che è «riuscito a creare le condizioni con cui le imprese hanno aumentato l'occupazione avendo nel contempo abolito il reddito di cittadinanza».

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