La nuova Siria muove i primi passi incerti, tra le timide speranze di chi ascolta promesse a cui non si sa se credere e gli interventi a gamba tesa di chi vuole intralciarne il cammino.
Da un lato, quindi, le rassicurazioni. Quelle del nuovo regime di Damasco, guidato da Mohammed al-Jolani. Che ieri ha invitato i governi stranieri a «non preoccuparsi della situazione in Siria. La gente è stremata dalla guerra e il Paese non è quindi pronto a entrare in un'altra guerra. La paura riguardava il regime di Assad, che ora è caduto e il Paese si sta muovendo verso lo sviluppo, la ricostruzione e la stabilità». Anche il nuovo premier del governo di transizione Muhammad al-Bashir - che ieri ha presieduto la prima riunione dell'esecutivo in una sala dominata dalla bandiera bianca con la dichiarazione di fede islamica scritta in nero accanto al nero-bianco-rosso-verde siriano - in un'intervista al Corriere della Sera ha mostrato più la carota del bastone: «Noi proprio perché islamici garantiamo i diritti di tutte le genti e tutti i popoli della Siria». Un modo per prendere le distanze dallo Stato islamico e invitare i milioni di profughi a ritornare in patria. Ci vorrà ben altro che le promesse perché questo avvenga.
Anche perché alcuni segnali lanciati dai ribelli, che continuano ad avanzare anche grazie al supporto materiale di agenti dell'intelligence ucraina intenzionati a indebolire la Russia, non sembrano così concilianti. Al-Jolani ha ieri fatto sapere che «perseguiremo coloro che sono coinvolti nella tortura dei detenuti e chiederemo ai Paesi di consegnarci i fuggitivi». Non solo: i nuovi padroni della Siria hanno ieri dato alle fiamme a Qardaha, nella provincia di Latakiala, la tomba dell'ex presidente siriano Hafez Assad, padre di Bashar Assad. Il quale si trova a Mosca, come conferma il viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov: «È al sicuro, e dimostra che la Russia agisce come richiesto in una situazione così straordinaria». Ryabkov ha fatto capire che Mosca non consegnerà Assad per il processo davanti alla Corte penale internazionale che la Russia non riconosce.
Poi, come detto, c'è chi agisce per boicottare il nuovo corso. Israele martella da giorni il territorio siriano. Operazioni in nome della «sicurezza», come l'invio di truppe nella zona cuscinetto del Golan siriano per la prima volta in cinquant'anni. Segni di nervosismo che allarmano non solo la Russia, storico alleato della Siria di Assad («manovre che non contribuiscono alla stabilità», ammonisce il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov) ma anche la Francia: «Qualsiasi dispiegamento militare nella zona di separazione tra Israele e Siria è una violazione dell'accordo di disimpegno del 1974», avverte un portavoce del ministero degli Esteri di Parigi. In fibrillazione anche la Turchia: un drone di Ankara ha distrutto un convoglio di attrezzature militari nel nord della Siria sequestrate da un gruppo curdo.
E proprio in Turchia è atteso domani il segretario di Stato americano Antony Blinken, che oggi sarà anche in Giordania, per ribadire il sostegno degli Stati Uniti «a una transizione inclusiva, gestita dai siriani, verso un governo responsabile e rappresentativo». Tanti, troppi, gli interessi in quella zona del mondo, tante le partite in corso, perché i giocatori resistano alla tentazione di influenzare il gioco.
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