Kiev apre alla linea Usa: "La guerra potrà finire prima di liberare il Paese"

Podolyak: "Se cade una grande città occupata Putin avrà perso il conflitto". Washington: colloqui solo con l’ok ucraino. Stop alle armi? Decide Zelensky

Kiev apre alla linea Usa: "La guerra potrà finire prima di liberare il Paese"

Washington. La linea ufficiale è sempre quella degli aiuti a Kiev as long as it takes, per tutto il tempo necessario. Ma gli Stati Uniti cominciano a considerare l'inverno, che porterà con sé un inevitabile «rallentamento delle operazioni tattiche», una possibile «finestra per dei negoziati». Le parole pronunciate mercoledì dal generale Mark Milley, il capo degli Stati Maggiori Riuniti, il militare Usa più alto in grado, danno il senso delle considerazioni in corso a Washington sul conflitto in Ucraina. Del resto, lo stesso Milley, mentre al suo fianco il segretario alla Difesa Lloyd Austin annuiva, ha spiegato che le probabilità che le forze ucraine liberino tutti i territori occupati, compresa la Crimea, «non sono alte militarmente», a meno che non ci sia un «collasso» dell'esercito russo.

Il pragmatismo del Pentagono è in contrasto con i proclami di Volodymyr Zelensky e la sua linea del whatever it takes, che Joe Biden non ha mai voluto abbracciare, fin dall'inizio del conflitto, negando a Kiev lo scudo aereo della Nato, per evitare di trascinare gli Usa e l'Alleanza nella Terza Guerra Mondiale. Un rischio che si è riproposto drammaticamente nel pieno del vertice del G20 di Bali, con la vicenda dei missili caduti in territorio polacco, che Biden ha voluto subito derubricare a «incidente», gettando acqua sulle reazioni nervose di Varsavia e di Zelensky. Con questo, gli Stati Uniti non intendono certo sconfessare il presidente Ucraino. Con l'ultima richiesta di oltre 37 miliardi di dollari di stanziamenti inviata al Congresso, l'amministrazione Biden alla fine di quest'anno avrà destinato all'Ucraina risorse militari e aiuti finanziari per oltre 100 miliardi. Una cifra superiore all'intero bilancio per la Difesa di Mosca. Da parte americana, secondo la linea espressa da Milley, c'è però la consapevolezza che la guerra non può essere vinta da nessuna delle due parti. Non dalla Russia, che secondo il generale Usa l'ha già persa «strategicamente, operativamente e tatticamente», e nemmeno da Kiev.

La posizione del Pentagono costringe anche gli ucraini a rivedere i propri obiettivi, sebbene - ancora - con delle condizioni. Replicando alle parole di Milley, il consigliere di Zelensky, Mykhailo Podolyak, ha ammesso che la guerra potrebbe finire «prima» che l'Ucraina liberi militarmente tutti i territori occupati dai russi. Podolyak ha condizionato la fine del conflitto alla perdita, da parte russa, di «una grande città occupata» nelle regioni di Luhansk o Donetsk. A suo giudizio, si innescherebbero così «processi irreversibili» a Mosca, che potrebbero portare alla caduta del regime putiniano. È uno degli scenari contemplati (e anche temuti) da Washington, come dimostrano i continui contatti tra esponenti di peso dell'Amministrazione e le controparti russe. Se Putin dovesse finire con le spalle al muro, è il ragionamento, la sua reazione potrebbe essere imprevedibile, nonostante anche dal G20 indonesiano sia uscita una forte condanna della retorica nucleare del presidente russo. Ecco allora che la Casa Bianca, per voce del portavoce del Consiglio per la Sicurezza naionale, John Kirby, rivendica l'importanza che le «linee di comunicazione» con Mosca «rimangano aperte», proprio per evitare il rischio del «potenziale uso» di armi nucleari e di «calcoli sbagliati» tra Occidente e Russia.

Il riferimento è al recente incontro ad Ankara tra il direttore della Cia, William Burns, e il suo omologo russo, così come agli altri contatti avuti da Jake Sullivan, consigliere di Biden per la Sicurezza nazionale, con i vertici di Mosca.

Sempre Kirby, abbracciando la linea di Milley, ha ribadito che il «modo migliore» per mettere fine alla guerra è «il negoziato», anche se, «spetta a Zelensky stabilire se e quando» sedersi al tavolo con i russi. «Nessuno», è stata la precisazione, «lo sta spingendo». Ma è certo che le dichiarazioni americane nell'ultima settimana, se non una spinta appaiono come un richiamo al realismo.

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