L'abuso di referendum e i suoi rischi

Come è cambiato il modo degli italiani di richiedere i referendum: così si genera una bulimia referendaria

L'abuso di referendum e i suoi rischi
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Cinquecentomila elettori che cercano banchetti organizzati dai partiti e sedi comunali per firmare un foglio pre-compilato davanti ad un pubblico ufficiale esibendo un documento di identità. Volontà, scelta, tempo e azione. Tutto ciò questa l'idea originaria - costituiva un adeguato filtro ad una incontrollata richiesta di sottoporre ad abrogazione parziale o totale una legge dello Stato; un filtro, insomma, per non rischiare di attivare con troppa disinvoltura un istituto di democrazia diretta che avrebbe potuto «smentire» la volontà del Parlamento o del governo colpendo un atto di valore legislativo. Si noti bene, un filtro forte per un mezzo molto limitato visto che il referendum può solo abrogare qualcosa che già esiste senza «creare», salvo alcune deroghe, regole ex novo. Che i costituenti prima e la Repubblica dopo non godessero di grande fiducia nel referendum ce lo conferma il fatto che abbiamo atteso il 1970 per avere una legge che li rendesse attivabili ed è via via cresciuto il sistema di limiti formali ma anche di quelli sostanziali introdotti dalla Consulta.

Il leone, insomma, non era solamente un po' debilitato ma anche in gabbia. Una gabbia che però piano piano ha cominciato ad indebolirsi se solo si pensa alle richieste di decine di referendum negli anni 90 e alla ricorrente proposta, mai realizzatasi, di innalzare il numero di firme a ottocentomila se non addirittura ad un milione. Una modifica poi archiviata anche per la crescente difficoltà di raggiungere il quorum di affluenza. Il leone, quindi, anche quando usciva dalla gabbia assumeva le fattezze di un gattone poco feroce. Oggi c'è una novità: il lucchetto che la tiene chiusa ha una combinazione più facile grazie alla raccolta on line delle firme. In pochi minuti, in qualunque posto siamo, con l'identità digitale compiamo gesti che prima erano dilatati nel tempo e nello spazio e, quindi, forieri di riflessione e pensiero. Per carità, per un liberale è solo un bene che i diritti si espandano e che siano più facilmente esercitabili: dove si allarga la capacità di partecipazione si allarga anche la presa di coscienza dei temi della comunità. O almeno a noi piace pensare che così sia.

La possibilità di raccogliere centinaia di migliaia di firme in poche ore (emblematico il referendum sulla cittadinanza) pone comunque una serie di questioni perché il leone adesso può girare più spesso anche se può continuare a non mordere. Primo tema: l'effetto della moltiplicazione dei quesiti contemporanei. Se le tre richieste da ultimo passeranno il vaglio della Corte costituzionale (ho dubbi che ciò accada per tutte) ci troveremo davanti tre quesiti che non sono legati come accadeva con i «blocchi di referendum» promossi storicamente dai radicali da alcun filo comune. Uno sul lavoro, uno sul regionalismo e uno sulla cittadinanza. Ci saranno referendum che combattono scelte recenti della maggioranza politica di governo, altre che agiranno come reazione alla sempre più evidente carenza di decisioni politiche del nostro latitante Parlamento già spesso «rimbeccato» dalla Corte costituzionale perché non decide su temi carenti di regole (si pensi al caso Cappato e all'eutanasia). Ciò significa che i partiti in gran parte non avranno una linea comune per tutti e tre neppure essendo parti della stessa coalizione e l'elettore dovrà entrare in cabina dopo aver cercato di capire tre questioni del tutto diverse tra loro. Sempre che questa abbondanza di menù non lo distolga dalla tavola imbandita sotto il sole primaverile.

Secondo punto: la bulimia referendaria potrebbe portare a molte raccolte di firme che, anche se non si tradurranno tutte in consultazioni referendarie, attrezzeranno un «plebiscito di fatto» permanente nella dialettica politica italiana esaltandone il carattere contingente e schiacciato sul presente. Non solo i piccoli partiti, ma singoli leader, potrebbero ogni qualvolta il trend dei social li assecondasse, lanciare le più disparate «campagne» referendarie anche nella dialettica nella propria coalizione aumentando così il rischio di entropia di maggioranze parlamentari già fragili e disomogenee. Per avere visibilità e aumentare la fibrillazione politica non servirà neppure arrivare al voto, ma sarà sufficiente lanciare una nuova raccolta firme.

Una democrazia più accessibile, certo, di cui si può solo che essere contenti, ma che pretenderebbe una maggiore forza della politica istituzionale e della maggioranza di governo come accadrebbe con il premierato: usare i referendum senza temere la strumentalizzazione della sempre più facile raccolta delle firme prima ancora del referendum vero e proprio costringendoci ogni volta a discutere un po' di tutto e quindi davvero di niente.

* Università degli Studi della Tuscia

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