«Mi chiamo Elena, sono italiana e mi trovo in Svizzera. Normalmente sono riservata ma ho deciso di raccontare la mia storia». Elena ha lasciato un videomessaggio prima di morire in una clinica oltre confine. È morta per scelta. L'ha accompagnata Marco Cappato, associazione Marco Coscioni, «traghettatore dell'eutanasia» e della rivendicazione del diritto a non soffrire. Lui oggi si autodenuncerà (rischia fino a 12 anni di carcere), la famiglia di lei organizzerà il funerale. Con un sottofondo di serenità dietro al dolore, la pace di chi ha potuto decidere cosa fare della propria vita.
Circa un anno fa, all'inizio di luglio del 2021, Elena, originaria del Veneto, ha avuto la diagnosi di microcitoma polmonare. Il tumore era già di proporzioni importanti e i medici avevano detto che avrebbe avuto poche possibilità di uscirne. Lei ha tentato lo stesso e, con pazienza e fatica, ha seguito tutte le cure, pesantissime. Purtroppo inutilmente. Le terapie non sono servite e le è stato prospettato un percorso di pochi mesi di vita con dolori a mano a mano sempre più forti. «Non ho nessun supporto vitale per vivere, solo una cura a base di cortisone e mi restava solo di aspettare che le cose peggiorassero» scrive la donna.
Quello di Elena è l'ultimo messaggio di chi è convinto di avere fatto la scelta giusta. Ma esprime anche il dolore pungente di chi non ha potuto morire a fianco dei suo cari. La donna che Marco Cappato ha accompagnato in Svizzera a porre fine alla sua vita col suicidio assistito ha lasciato il suo pensiero in un video di quattro minuti: «Sono sempre stata convinta che ogni persona debba decidere sulla propria vita e debba farlo anche sulla propria fine, senza costrizioni, senza imposizioni, liberamente, e credo di averlo fatto, dopo averci pensato parecchio, mettendo anche in atto convinzioni che avevo anche prima della malattia. Avrei sicuramente preferito finire la mia vita nel mio letto, nella mia casa, tenendo la mano di mia figlia, la mano di mio marito. Purtroppo questo non è stato possibile e quindi ho dovuto venire qui da sola».
Per Marco Cappato si tratta di una «nuova disobbedienza civile, dal momento che la persona accompagnata non è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale quindi - spiega l'associazione Coscioni in una nota - non rientra nei casi previsti dalla sentenza 242\2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato\Dj Fabo per l'accesso alla tecnica in Italia».
In Italia, infatti, proprio grazie alla disobbedienza civile di Cappato per l'aiuto fornito a Fabiano Antoniani, il suicidio assistito è possibile e legale in determinate condizioni della persona malata che ne fa richiesta (persona affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze, pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli e tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale). Requisiti riconosciuti invece in casi come Mario/Federico Carboni, il primo caso di suicidio assistito in Italia.
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