Per ricostruire i rapporti tra il regime comunista cinese e il M5s (e capire cosa c'è dietro l'apertura al regime islamico) la prima cosa da fare è la più semplice: cercare la parola chiave «Cina» all'interno dell'archivio del Blog di Beppe Grillo. Andiamo dalle critiche violente riservate al Dragone durante la fase pionieristica del grillismo agli spot degli ultimi anni, in particolare a partire dal 2018, anno in cui il Movimento è arrivato al governo per la prima volta. E così se nel 2008 - in occasione delle Olimpiadi di Pechino - si potevano leggere frasi a favore dell'autonomia dei tibetani come queste: «La Cina ha intenzione di far partire la fiaccola olimpica proprio dal Tibet, dalla cima dell'Everest. È come se la Germania la facesse partire da Auschwitz», a febbraio del 2020 il fondatore dei Cinque stelle profetizzava: «Coronavirus: la Cina ne uscirà più forte». Non solo. Ci sono anche delle vere e proprie reclamizzazioni delle politiche del Dragone. Da «Cina: agevolazioni fiscali per incoraggiare l'innovazione» del 31 maggio 2019 a «la Cina inaugura il ponte sul mare più lungo del mondo» del 23 ottobre del 2018. Contenuti simil pubblicitari che hanno spinto qualcuno, come Il Foglio il 24 dicembre 2019, a chiedersi se il Garante ricevesse un qualche tipo di compenso per un appoggio così sdraiato e smaccato.
Il caso più controverso di sostegno grillino alla Cina è sulla questione dello Xinjiang. La regione in cui il governo cinese da anni segrega e perseguita la minoranza musulmana degli Uiguri. Su questo l'episodio più caldo è un documento del 19 maggio di quest'anno, ancora scaricabile in pdf dal Blog di Grillo. Si tratta di un rapporto intitolato «XinJiang. Capire la complessità, costruire la pace», promosso dal Centro Studi Eurasia-Mediterraneo insieme ad Eurispes e Idi (Istituto diplomatico internazionale). Il testo è deliberatamente filo-Cina e tende a colpevolizzare chi si oppone alla segregazione. Tra i firmatari spicca Grillo, ma c'è anche Vito Petrocelli, senatore presidente della commissione Esteri a Palazzo Madama. Il parlamentare lucano il 17 giugno, in un'intervista a Repubblica, si definiva «anche filocinese».
Pochi giorni prima, l'11 giugno, Grillo era stato in visita privata dall'ambasciatore cinese a Roma Li Junhua. Giuseppe Conte doveva partecipare all'incontro ma all'ultimo ha marcato visita. Il Garante aveva visto il diplomatico già altre due volte in due giorni a fine novembre del 2019.
Ma nemmeno il nuovo leader è immune al fascino di Pechino. A ottobre dell'anno scorso l'allora premier - in visita a Taranto - ha dato il via libera all'acquisizione da parte della società cinese Ferretti Group di un'area di 220mila metri quadri nel porto della città jonica. Nella storia d'amore tra grillini e cinesi non bisogna dimenticare le premonizioni di Alessandro Di Battista («la Cina vincerà la terza guerra mondiale») e le polemiche sull'intervento di Thomas Miao, ceo di Huawei Italia, a un evento della Casaleggio Associati a novembre 2019. Solo ieri il ministro degli Esteri Luigi Di Maio parlava di «ruolo cruciale della Cina in Afghanistan» in una telefonata con il suo omologo cinese Wang Yi. Lo stesso Di Maio ha firmato, in epoca gialloverde, il memorandum sulla Via della Seta in una cerimonia in pompa magna.
Anche se il ministro attualmente è il grillino che corteggia di più gli Usa. Dopo aver costruito un buon rapporto con l'ex segretario di Stato Mike Pompeo è stato il primo ministro degli Esteri straniero a incontrare il suo successore Antony Blinken a Washington nell'aprile scorso.
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