Gli animali sono sensibili. E chi li fa soffrire commette reato. Magari perché li lascia in giardino quando invece potrebbe ospitarli in casa e ripararli dal freddo.
La Corte di Cassazione s'è riscoperta madre, riconoscendo per sentenza che anche i cani hanno un'anima. E per questo ha messo in castigo, confermando la condanna già inflittagli dalla Corte d'Appello, il proprietario di un pastore tedesco reo di aver ospitato il suo fedele quattro zampe solo in cortile, lontano dall'abitazione, senza compagnia e con cure scarse. A dire il vero, la Suprema Corte l'indirizzo umanizzante lo aveva delineato già nel recente passato, come quando nel 2013, ad esempio, aveva fissato il divieto di uso del collare elettronico. Ma mai s'era giunti con chiarezza cristallina a stabilire confini certi tra i maltrattamenti e l'abbandono. Nel 2015 la svolta, con la tutela accordata alla «sensibilità dell'animale», da preservare non soltanto «da quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza per la loro manifesta crudeltà», ma anche da condotte che, pur non crudeli o violente, comunque «procurano dolore e afflizione». Proprio come se un cucciolo avesse un'anima e fosse fatto non solo di carne e pelo, ma anche di cuore, intelligenza e, per l'appunto, anima. Una rivoluzione dei sentimenti e del diritto che pareva destinata alla sconfitta: appena lo scorso maggio il Tribunale di Roma (Prima Sezione penale) affermava principi opposti parificando ad un banale oggetto un gatto e scagionando da ogni accusa una donna che 7 anni prima aveva preso il micio dei dirimpettai, senza più restituirlo. Per lei, in nome della renziana riforma che aveva portato all'introduzione della non punibilità per particolare tenuità del fatto, cancellazione di ogni peccato e pena: il ratto del felino non costituisce reato in considerazione dell'esiguo valore dell'animale. Nel caso di specie, equiparato dal giudicante ad una scatoletta di tonno. Decisioni analoghe non erano mancate: entrato in vigore il decreto «tana libera tutti», nel marzo del 2015, a Ferrara era arrivato il colpo di spugna per una ragazza che aveva venduto un chihuhaua, morto una volta concluso l'affare: imputata di frode in commercio, era stata prosciolta con tante scuse - per l'irrilevanza economica della transazione. E così qualche mese più tardi a Genova: neppure una tirata d'orecchie al ristoratore sorpreso a far camminare sulla corrente (pratica vietatissima) i suoi astici, perché sembrassero vivi. Tendenze ora stoppate dagli ermellini: multa di 2mila euro per l'imputato che confinava all'aperto lo scodinzolante bovaro, i giudici lo hanno dichiarato colpevole di abbandono. Il suo cane pativa gli acciacchi della vecchiaia, camminava con difficoltà e pativa una forte otite. E lui, ciononostante, non lo accoglieva tra le mura domestiche. Privandolo così si legge nella sentenza - «delle poche occasioni di stare in sua compagnia» e costringendolo «in condizioni produttive di sofferenza fisica». Proprietario cinico. Colpevole di scarso amore.
Perché se l'incrudelimento è circostanza necessaria per far scattare il reato di maltrattamento, per la Cassazione «trascuratezza e disinteresse verso l'animale integrano quello di abbandono». Quanto è bastato all'uomo per essere stangato: non si tengono gli amici alla porta, magari mentre fuori piove.
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