L'assalto al Parlamento dei sostenitori di Bolsonaro

Un migliaio di manifestanti con pietre e bastoni fanno irruzione nel Congresso: centinaia gli arresti

L'assalto al Parlamento dei sostenitori di Bolsonaro

«Incompetenza e mancanza di volontà». Un Luiz Inácio Lula da Silva furente, «mai visto così irritato», secondo la CNN Brasil, ieri in una conferenza stampa improvvisata in una cittadina dello stato di San Paolo, tre ore dopo che il cuore istituzionale del Brasile era stato preso d'assalto da fanatici violenti. Come il 6 gennaio 2020 al Campidoglio Usa, ma con una differenza: Jair Bolsonaro non è più in carica, a differenza di Trump.

È successo ieri quando un migliaio di manifestanti bolsonaristi armati di pietre e bastoni hanno invaso la Piazza dei Tre Poteri, salendo prima sul tetto del Parlamento e poi, dopo avere rotto i vetri, sono entrati nel «Salone nero», dove 9 giorni fa era entrato Lula, il giorno del suo insediamento. Preso d'assalto dagli esagitati, che saranno accusati di terrorismo, anche il Supremo Tribunale Federale (STF) dove è stato saccheggiato il «Salone Bianco», riservato agli 11 giudici che compongono il massimo organo giudiziale del Paese. Abbattuta la porta di Alexandre de Moraes, il magistrato più odiato dagli esagitati e storico nemico dell'ex presidente Bolsonaro. Attaccato anche il Palazzo presidenziale del Planalto, dove è stato distrutto il «Salone Nobile» mentre non è chiaro se sia stato invaso anche l'ufficio di Lula, al terzo piano.

Sfregiati dunque, nell'assenza totale delle forze dell'ordine ed in contemporanea, i tre poteri del Brasile, l'esecutivo, il legislativo ed il giudiziario. Dato fuoco anche al tetto dell'Itamaraty, il ministero degli Esteri verde-oro con i manifestanti che chiedevano a gran voce l'arresto di Lula e l'intervento militare, come lo chiamano loro, in realtà un golpe. Mobili e opere d'arte sono stati distrutti nel palazzo presidenziale, al pari dei computer del Planalto, mentre molti documenti sono stati dati alle fiamme nell'STF e nel Parlamento.

Ieri sera Lula ha decretato l'intervento federale a Brasilia mentre il suo governo ha chiesto l'arresto del bolsonarista Anderson Torres, segretario alla sicurezza della capitale, licenziato in tronco, 150 gli arresti tra i manifestanti. Quella di ieri è una tragedia annunciata visto che dall'altro ieri all'alba centinaia di bus da tutto il Brasile si erano messi in marcia verso la capitale. Non a caso, ieri, il ministro della Giustizia di Lula, Flavio Dino, aveva mobilitato la Guardia Nazionale. Il problema è che ieri non si è vista e, poco dopo le 15, quando gli esaltati hanno scavalcato le transenne e preso d'assalto le istituzioni verde-oro, nessuno li ha fermati. A dimostrazione delle responsabilità della polizia militare, va segnalato il video virale su Internet che mostra una decina di agenti parlare con alcuni manifestanti senza fare nulla per contenere l'azione estremista dei più radicali. Il partito dei lavoratori, il PT di Lula, per bocca della sua presidente, Gleisi Hoffmann, ha fatto sapere che «Il governo della capitale è stato irresponsabile di fronte all'invasione di Brasilia e al Congresso Nazionale. È un delitto annunciato contro la democrazia, contro la volontà delle urne e da altri interessi. Il governatore e il suo segretario alla sicurezza, bolsonaristi, sono responsabili di quanto accade». Rocha giovedì sarà chiamato a rapporto da Lula.

«Chiedo a tutti equilibrio e saggezza. La democrazia è rafforzata dalla contraddizione e dal rispetto delle differenze», ha dichiarato su Twitter appena scoppiata la violenza Ciro Nogueira, l'ex ministro della Casa Civile, il più importante, di Jair Bolsonaro che, invece, continua in silenzio dal suo esilio in Florida, dove si trova dal 30 dicembre scorso.

Un silenzio condannato da tutti i media

brasiliani visto che i vandali che ieri hanno invaso e depredato le principali istituzioni verde-oro sono suoi supporter. Centinaia gli arrestati mentre, fino alla tarda serata italiana non si registravano fortunatamente vittime.

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