«Il Ministro della giustizia non dà corso alla domanda di estradizione quando questa può compromettere la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato». Era questa la norma che nelle ore convulse tra il 20 e il 21 gennaio, Carlo Nordio avrebbe potuto fare valere per impedire l'arresto del generale libico Nijeem Osama Almasri, bloccato dalla Digos in un albergo di Torino. Il silenzio di Nordio è divenuta la base per la decisione della Corte d'appello di Roma per rilasciare Almasri, con le polemiche furibonde che ne sono seguite.
Ma insieme alle dispute sulla decisione dei giudici romani (inevitabile, secondo buona parte dei giuristi) ci si interroga ora sulla linea più corretta da seguire non solo nel momento in cui il libico era in carcere, ma anche dopo la sua scarcerazione, e anche ora, davanti al procedimento penale avviato dalla Procura di Roma contro il premier Giorgia Meloni e i ministri Matteo Piantedosi e Carlo Nordio per la loro gestione del caso Almasri. E sulla possibilità che il governo copra l'intera vicenda con il segreto di Stato.
Tecnicamente, fin da subito il segreto poteva essere invocato direttamente da Nordio, se avesse ufficialmente rifiutato l'estradizione del generale per esigenze di sicurezza nazionale. Sulle motivazioni del rifiuto (verosimilmente i rapporti di Roma con il governo di Tripoli guidato dal generale Abdel Hamid Debeibeh) Nordio avrebbe potuto opporre il segreto di Stato, e sarebbe stata poi Giorgia Meloni a dover confermare l'apposizione del segreto (è l'unica funzione in questa materia che il premier non può delegare). Ovviamente il segreto non poteva avere ad oggetto i motivi del mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale ma solo le ragioni che portavano l'Italia a non eseguire il mandato.
Dopodichè si apre il secondo fronte delicato, quello aperto dall'avvocato Luigi Li Gotti con la sua denuncia per peculato e favoreggiamento contro la Meloni e i ministri. I membri del governo, iscritti nel registro degli indagati dai pm di Roma, possono opporre il segreto di Stato sia sul reato di favoreggiamento (che riguarda i motivi della mancata estradizione di Almasri) sia sull'accusa di peculato, relativa alle modalità di espulsione del libico dall'Italia con l'utilizzo di un aereo dei servizi segreti. La Meloni può appellarsi all'articolo 39 della legge sui servizi, secondo cui «sono coperti dal segreto di Stato gli atti, i documenti, le notizie, le attività e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recare danno all'integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali».
L'utilizzo del segreto di Stato per coprire il trattamento riservato ad un torturatore spietato come Almasri solleverebbe sicuramente vivaci polemiche. Ma l'unico organismo che potrebbe annullare la scelta di Palazzo Chigi è la Corte Costituzionale, che però in due occasioni nel 2009 e nel 2014 ha confermato il segreto apposto da più presidenti del consiglio nel caso Abu Omar in nome della sicurezza nazionale, interesse prevalente su ogni altro.
Certo, non è detto che sia questa la strada che vuole scegliere Giorgia Meloni, che potrebbe invece difendersi nel merito dalle accuse della Procura di Roma. Ma per farlo dovrebbe depositare anche atti «classificati» del governo e dei servizi segreti, confidando nella riservatezza dei pm della Capitale.
Ma è proprio quella discrezione che il governo rimprovera la Procura di Roma di avere violato, divulgando i documenti dei servizi segreti rilasciati con clausola «riservato» nell'indagine sui giornalisti del Domani denunciati dal capo di gabinetto di Palazzo Chigi, Gaetano Caputi.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.