Lavrov da Lula e alla corte dei dittatori

Il ministro degli Esteri russo in Brasile, poi Cuba, Venezuela e Nicaragua

Lavrov da Lula e alla corte dei dittatori

È sbarcato all'aeroporto di Brasilia con tutti gli onori ieri mattina Sergej Lavrov, ministro degli Esteri russo, e il suo è l'inizio di un tour latinoamericano in cui dopo il Paese del samba incontrerà i dittatori di Venezuela, Nicaragua e Cuba. Nella sede dell'Itamaraty, la Farnesina verde-oro, Lavrov ha parlato fitto con il suo omologo Mauro Vieira, con cui aveva conversato a lungo in India, al summit del G20 di marzo. Proprio in quell'occasione, durante una conferenza Lavrov disse: «La guerra che stiamo tentando di fermare, è stata lanciata contro di noi usando la popolazione ucraina», distorcendo la realtà visto che il conflitto è scoppiato perché la Russia ha invaso l'Ucraina calpestando la sua sovranità nazionale e il diritto internazionale.

Per una strana geometria della geopolitica l'altroieri, mentre Lula era appena tornato dalla Cina e attendeva con ansia Lavrov, il ministro della Difesa cinese, Li Shangfu visitava Putin, un incontro in cui il dittatore russo ha elogiato le relazioni militari tra i due Paesi. Xi Jinping era stato a Mosca a marzo, negando ogni aiuto militare alla Russia ma, secondo i Pentagon leaks, una serie di documenti dell'intelligence americana trafugati e condivisi sulla piattaforma Discord dal 21enne di origini portoghesi, Jack Douglas Teixeira, la Cina avrebbe approvato la fornitura di aiuti letali a Putin per la guerra in Ucraina ma intende farlo in segreto, mascherando l'equipaggiamento bellico come beni di natura umanitaria.

Nell'incontro con la stampa brasiliana, dove non sono state permesse domande da parte dei giornalisti, Lavrov ha detto che in relazione al conflitto ucraino «Brasile e Russia hanno un'unica visione». Poi ha aggiunto: «Stiamo realizzando un ordine mondiale più giusto, più corretto e basato sul diritto. In questo abbiamo una visione di un mondo multipolare, in cui teniamo conto di diversi Paesi, non solo di alcuni». Dal canto suo il ministro degli Esteri di Lula, Vieira, ha aggiunto che «il Brasile è contro le sanzioni unilaterali», un'accusa neanche tanto velata a Stati Uniti ed Unione Europea.

L'idea fissa di Lula, incentrata sulla creazione di un «gruppo di Paesi mediatori» guidato dalla Cina di Xi Jinping, non può essere però scollegata alle sue dichiarazioni. Dieci giorni fa il presidente brasiliano aveva suggerito che l'Ucraina rinunciasse alla Crimea, annessa dalla Russia nel 2014, in cambio della pace e per la gioia di Putin che, a giugno, potrebbe sbarcare a Brasilia, secondo il giornalista brasiliano Claudio Dantas, della radio Jovem Pan.

Anche l'ex presidente Jair Messias Bolsonaro visitò Putin a Mosca mentre la Russia si preparava a invadere l'Ucraina ma, in primis, Mosca non aveva ancora attaccato Kiev e, in secondo luogo, il suo viaggio era soprattutto finalizzato a risolvere una carenza di fertilizzanti per gli agricoltori brasiliani mentre l'amministrazione Biden gli stava voltando le spalle. Lula, invece, non ha scuse, avendo ricevuto da Washington tutto l'appoggio possibile eppure, nei suoi primi 100 giorni al potere, ha fatto di tutto per avvicinarsi non solo alla Russia e alla Cina ma anche all'Iran e flirtando con le dittature di Cuba, Venezuela e Nicaragua.

Inoltre, quando il cancelliere tedesco Olaf Scholz lo ha visitato Brasilia il gennaio scorso, Lula ha respinto il suo appello a sostenere Kiev, adducendo «uno sciocco relativismo morale» secondo

il Wall Street Journal di ieri, sostenendo che il Paese invaso è in colpa tanto quanto l'invasore. Un concetto che continua a ripetere come un mantra, come dire che la colpa della Seconda Guerra Mondiale fu dei polacchi.

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