Un leader fragile di fronte al mondo e le lacrime inedite degli Stati Uniti

In genere il presidente degli Stati Uniti suscita commozione, chiama a raccolta i sentimenti della dignità e anche del rispetto umano e della pena, ma per tradizione non piange. Joe Biden è un uomo fragile.

Un leader fragile di fronte al mondo e le lacrime inedite degli Stati Uniti

Il presidente ha pianto e questa è già una novità assoluta, perché un tempo piangevano le madonne pellegrine e in rari casi personaggi politici di secondo piano. In genere il presidente degli Stati Uniti suscita commozione, chiama a raccolta i sentimenti della dignità e anche del rispetto umano e della pena, ma per tradizione non piange. Joe Biden è un uomo fragile. Lo abbiamo visto in molte occasioni da punti: interrompe un discorso non ricordando più che appunto era arrivato, cade e incespica più volte, sembra restare senza parole ma con gli occhi pieni di lacrime. Come si può non rispettare un uomo anziano che piange i morti del suo paese e che, già che c'è, ricorda un po' a sproposito la perdita di suo figlio?

La fragilità di un presidente degli Stati Uniti è di per sé un fatto inedito, al quale forse dovremmo abituarci chiedendoci se a questa fragilità non corrisponde poi una mancanza di forza politica ed etica nel prendere le decisioni che riguardano sia gli Stati Uniti d'America che il mondo intero. Biden star è al punto più basso del gradimento nel suo paese dove ha stravinto le elezioni, comunque poco chiare, visto che per la prima volta un presidente è stato eletto con uno schiacciante uso del voto per posta.

Torna di nuovo d'attualità la critica di fondo che nel partito democratico è stata fatta sulla scelta del ticket Biden-Harris che sembra la scelta di un uomo troppo malandato per poter aspirare al doppio mandato e che quindi da un punto di vista anche semplicemente statistico dovrebbe essere sostituito in corsa dalla sua attuale vice presidente, una donna che ride troppo e che si spaccia per afroamericana senza esserlo.

Non è assolutamente chiaro il pasticcio che ha portato all'esito sanguinoso degli attentati delle ultime ore se consideriamo che Biden due giorni prima aveva spedito a Kabul il direttore della Cia per colloqui urgenti con il capo degli ex nemici da cui avrebbe saputo dell'imminenza di attacchi dell'Isis che poi sono puntualmente avvenuti. Biden piange, e ci sembra tutto sommato una cosa assolutamente proporzionata alla tragedia di cui è protagonista, non soltanto testimone.

Che cosa ha fatto la Cia a Kabul? A che cosa è servita questa pantomima se non a rendere irreversibile davanti agli occhi di tutto il mondo sbalordito la data ultimatum più che ultima del 31 agosto per l'esito finale? Gli americani sono contenti di lasciare l'Afghanistan dove decine di migliaia di giovani hanno prestato servizio più di una volta ma al tempo stesso c'è un enorme imbarazzo nel vasto mondo dei veterani, di tutti coloro che hanno indossato l'uniforme per servire il loro paese e che sono spesso tornati dall'Afghanistan, dall'Iraq o dalla Siria feriti e mutilati.

L'America è toccata nel profondo delle sue corde da una vicenda che non somiglia a quella del Vietnam ma alle altre disfatte americane perché avverte che stavolta la disfatta è morale.

Biden ha un bel dire che l'America non dimentica e non perdona (we will not forgive, not forget). In realtà l'America forse non perdonerà ma dimenticherà presto perché non ha altro da fare e resterà soltanto una lunga storia di sangue e un piccolo rivolo di lacrime presidenziali.

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