Trentotto minuti d'intervento. Che si chiude con toni più che accalorati sull'Ucraina e con un gesto che nel codice non scritto delle sedute di Montecitorio è eloquente più di mille parole. Giorgia Meloni, infatti, conclude la replica delle comunicazioni del governo alla Camera in vista del Consiglio Ue di oggi e domani a Bruxelles con i modi e le movenze di chi è ancora all'opposizione. Un crescendo rossiniano di decibel, con ripetute domande retoriche rivolte ai banchi dell'opposizione («voi ritenete che...», «voi davvero pensate che...») e un «grazie» conclusivo quanto retorico con mano destra sulla parte alta dell'asta del microfono al centro dei banchi del governo e gesto deciso a tirarlo giù nel momento della chiusa. La premier ha finito. Con la tempra di quando era all'opposizione. E, forse, senza tenere adeguatamente da conto che fa parte del gioco che oggi siano gli altri a chiedere conto a lei - che siede a Palazzo Chigi - di quanto accade in Italia. A partire dalla tragedia di Cutro. Dove - al netto di come la si possa pensare sulla ricetta migliore per affrontare la crisi migratoria - è evidente che la macchina dei soccorsi non ha funzionato come avrebbe dovuto. Mentre qualsiasi obiezione sul punto viene derubricata a un'accusa di omicidio premeditato ai vertici del governo.
Ed è proprio su Cutro che si accende il dibattito. Con il paradosso che il tema dell'immigrazione assorbe buona parte delle comunicazioni alle Camere del governo sul Consiglio Ue, quando oggi e domani a Bruxelles il tema sarà affrontato solo in quello che il presidente Charles Michel definisce uno «short debrief». Un «breve resoconto», in agenda nelle cosiddette «varie» («altri punti», recita l'odg del Consiglio Ue). Meloni ribadisce quanto già detto martedì in Senato, ma non si sottrae alla polemica con l'opposizione. «Si continuano a dire cose false», ripete. E risponde ai brusii con occhiate eloquenti verso i banchi di Pd e M5s. «Continuo a segnalare sommessamente...», dice con un tono di voce che non è affatto sommesso quando parla degli accordi di Dublino. Mentre a chi gli rinfaccia di aver evocato il «blocco navale» quando non era ancora premier risponde con un eloquente «voi continuate a vivere in un mondo che non è quello mio». I mugugni dai banchi delle opposizioni si fanno più forti, il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, la invita a non rivolgersi personalmente ai deputati, come impone un regolamento ormai troppo imbalsamato dagli anni che furono. «Sì, vabbé...», chiosa un'accalorata Meloni. Infine la replica ad Angelo Bonelli, di Alleanza verdi e sinistra, che pone l'accento sull'emergenza siccità. «Io non sono Mosè, la ringrazio che mi riconosca questi meriti ma non sono io che in cinque mesi ho prosciugato l'Adige», dice Meloni in una informativa alla Camera che è ormai diventata un talk show di seconda serata.
Si passa agli altri dossier, quelli che saranno il cuore della due giorni di Bruxelles. Ma che ieri alla Camera sono stati trattati con una certa celerità. A partire dal sostegno all'Ucraina, con i ministri della Lega che scelgono di non essere presenti in aula dopo i distinguo di martedì del capogruppo al Senato Massimiliano Romeo. Matteo Salvini, infatti, non vuole un eventuale nuovo decreto per inviare altre armi a Kiev. E inizia a lanciare messaggi chiari. E poi tra Meloni e Lega è in corso da settimane un braccio di ferro sulle nomine.
Sullo sfondo, il dossier balneari. Un tema caldo a Bruxelles, con la Commissione in pressing su Roma. E con Meloni decisa ad accelerare. In primo luogo trovando un punto di caduta dentro Fdi (divisa tra rigoristi e dialoganti) e poi pronta a passare la delega del dossier a un nome considerato non ostile a una categoria storicamente vicina al centrodestra. Potrebbe tornare a Nello Musumeci, ministro per la Protezione civile e le politiche del mare, oppure l'alternativa è un sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
Di certo a Palazzo Chigi c'è la consapevolezza che - dopo il Milleproroghe, il richiamo di Sergio Mattarella, la sentenza del Consiglio di Stato e le pressioni Ue - è arrivato il momento di sciogliere il nodo. In un modo o nell'altro, ma comunque convocando entro due settimane il tavolo tecnico con le associazioni di categoria.
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