Lega e M5S siedono al tavolo: ore decisive per il governo

La partita va ai supplementari.I due leader si vedono e subito chiedono la proroga al Quirinale che la concede

Lega e M5S siedono al tavolo: ore decisive per il governo

Alla fine, quando si arriva ai supplementari e l'orizzonte è quello della «lotteria dei rigori», come suol dire, fate largo all'esperienza dei vecchi leoni. È quella che fa la differenza. Va ascoltato con attenzione, per esempio, il fondatore della Lega, Umberto Bossi, quando a negoziati febbrili Salvini-Di Maio ancora in corso, tirava dal dischetto per fare centro. Primo: non potevamo non fare un governo, non dare risposta alla sollecitazione del Quirinale. Secondo: «Berlusconi ha voluto cedere, non dovuto. Anche se voterà contro la fiducia, di volta in volta potrà appoggiare o meno i provvedimenti, conquistandosi sul campo peso e riconoscimenti che gli si devono». Terzo: «Lasciate perdere quel che dicono, la paura di andare al voto ce l'han tutti. La gente, richiamata alle urne, li avrebbe bastonati. Tutti».

Ventiquattr'ore. Una proroga chiesta quando il governo «neutrale, di servizio, di garanzia» di Mattarella era già nelle provette di laboratorio, ai sotterranei del Quirinale. Di buon mattino, dalla radio, Matteo Salvini faceva capire che il vento poteva cambiare quadrante. «Di Maio non ha novità: ha girato tutti i forni che poteva girare, il pane è finito. Credo che stiano facendo qualche ragionamento in Forza Italia. Di Maio ha posto veti? Mi diceva che per loro Forza Italia organica al governo è impensabile... Io non mi permetto di far pressioni, né di fare fretta, né di dare lezioni a nessuno... Ma io ci provo, fino all'ultimo. E non mollo nessuno, non mando in frantumi le coalizioni». Il cambiamento di scenario veniva seguito passo passo, scambi convulsi di sms con Luigi Di Maio (ormai due innamoratini, come li rappresentano sui murales, litigi e ripicche comprese) e prendeva corpo, fino a far richiedere 24 ore di proroga al Quirinale, nonché un incontro «riservatissimo» tra i promessi sposi con la richiesta di chiarire sul famoso «veto» grillino nei confronti del Cav. Salvini si faceva paciere e pontiere, quadro e tondo. «Devo parlare con entrambi, non gioco numeri al lotto: mi fido ma voglio toccare con mano come San Tommaso», diceva nel vorticoso giostrare. Pranzo al Pantheon col figlio, che in serata avrebbe portato a vedere Milan-Juve. Di Maio nel frattempo traccheggiava, un po' frastornato: fuochi fatui e nubi di fumo elettorale. La realtà era invece una dichiarazione netta: «Non c'è veto sul Cav, Berlusconi è il meno responsabile di tutti, di questo stallo». Cambio di tono che portava l'azzurra Biancofiore a vedere la nascita dell'esecutivo «a un passo». Da Forza Italia arrivavano altri segnali inequivocabili, tipo la caduta delle barricate poste dal duo Brunetta-Romani. Entrambi facevano capire che un «occhio benevolo», un'«astensione critica», una generosa disponibilità concessa a Lega e M5s affinché «sperimentino», era la soluzione. «La Lega faccia pure, l'alleanza rimane», confermava Brunetta. L'ultima parola era però attesa da Arcore, dove si prendeva tempo, mentre il leader leghista continuava a giurare che «l'alleanza di centrodestra non si romperà». A parti invertite, è lo schema dell'appoggio esterno al governo Monti (Lega contraria) e dell'ingresso di Fi nel governo Letta (Lega ancora all'opposizione).

Così dovrebbe essere per Forza Italia, mentre Salvini e Di Maio trattano ora sul nome del premier (risale il nome di Giorgetti) e dei ministri, nessuno di area Forza Italia. Eppure dai nomi dipenderà il semaforo verde, anzi giallo-verde, del Cav.

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