Lega, zona retrocessione. Adesso Salvini è nei guai

Il Carroccio crolla all'8,8 per cento e nel partito si può aprire la resa dei conti per la leadership

Lega, zona retrocessione. Adesso Salvini è nei guai

Molto bene il centrodestra, molto male la Lega. Questa la valutazione consolidata sul «ponte di comando» del Carroccio dopo la diffusione degli exit-poll (col partito intorno al 10%) e soprattutto con le prime proiezioni, che lo davano addirittura all'8%: meno di un terzo dei voti di Fratelli d'Italia, la metà di quelli dei 5 Stelle, tallonato da Forza Italia. Matteo Salvini oggi appare come il capo in difficoltà di un partito in crisi.

Il segretario leghista è arrivato alle 22.30 in via Bellerio, e nella storica sede milanese del Carroccio ha seguito lo spoglio, coi fedelissimi, in un clima di nervosismo crescente. Alle 23 e 15 il suo primo tweet: «Centrodestra in netto vantaggio sia alla Camera che al Senato. Sarà una lunga notte, ma già ora vi voglio dire grazie». Si è aggrappato alla ostentata soddisfazione per la vittoria del centrodestra, scontata, ma era il voto di lista quello più atteso, e se gli «exit poll» delle 23 hanno regalato un'illusione di «pericolo scampato», i dati reali l'hanno tramutata prima in ansia e poi in aperta, cocente delusione.

Dopo la mezzanotte le seconde proiezioni: 8,7% quelle Rai, e «Swg» per la 7, 8,1% quella «Tecné» per Rete4. Poi la terza proiezione Rai: 8,8%. Insomma, la coalizione è andata alla grande - come previsto - il partito invece no. In via Bellerio nessuno ha più parlato, e quel silenzio potrebbe anche nascondere una resa dei conti interna.

Non è stata una giornata di entusiasmi la domenica elettorale dei leghisti. Ieri mattina Salvini ha votato presto, nella sua Milano. Ha sfoderato la consueta sicurezza, e l'auspicio di un governo di legislatura. Ha gettato acqua sul fuoco degli entusiasmi e ha voluto spegnere ogni polemica con Silvio Berlusconi, che gli aveva riservato parole «agrodolci», rivelando di volere «più voti della Lega». E il fantasma del sorpasso, poi, si è quasi materializzato.

Non era stata una giornata facile, quella di Salvini, e non è stata una campagna elettorale semplice la sua: una specie di improvvisa volata a cui è arrivato con la «zavorra» di una responsabilità di governo condivisa con poca convinzione, gravato dalla sensazione di un ineluttabile calo e sottoposto all'impietoso confronto con FdI, il partito di Giorgia Meloni che è rimasto sempre all'opposizione continuando la sua progressione anche al Nord, fino a concretizzare il bruciante «sorpasso» che già si era profilato alle ultime amministrative.

I pronostici della vigilia si esercitavano sul distacco con cui FdI avrebbe «liquidato» la Lega, e sulla «soglia» che avrebbe segnato la sua sconfitta: il 12%, o il 10. Lontani i giorni delle Politiche 2018 (il Carroccio era arrivato al 17%) lontanissimo il trionfo delle Europee 2019, quando il «Capitano» aveva trascinato il suo partito oltre il 30%, superando il tradizionale arroccamento nel Lombardoveneto e sfondando anche al Sud. Sono passati solo tre anni, eppure il vento è cambiato.

Dopo la cavalcata trionfale da ministro dell'Interno, nell'agosto 2019 si è «rotto» il patto «giallo-verde» e lì è iniziata la discesa, apparentemente inarrestabile. La Lega è arrivata a questo voto sfibrata da un anno e mezzo di opposizione al governo «Conte 2» e poi logorata dal successivo anno e mezzo trascorso nella maggioranza che ha sostenuto Mario Draghi. Una posizione scomodissima per Salvini, segnalata da un'insofferenza sempre più palese per il premier, sfociata negli ultimi giorni in vera e propria lite.

Da leader di un grande partito, ha continuato a parlare della possibilità di un suo ritorno a Palazzo Chigi, ma l'obiettivo della sua campagna era chiaramente aggiustato «al ribasso», per quanto prestigioso: il ritorno al Viminale. L'obiettivo di un ministero potrebbe essere ancora a portata di mano, ma intanto potrebbe anche crescere il malumore interno, e trasformarsi in aperta rivolta.

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