L'esercito (potenziale) dei nostri funzionari

Su 53 posizioni chiave nei gabinetti dei Commissari, il nostro Paese vanta appena 3 presenze

L'esercito (potenziale) dei nostri funzionari
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La formazione attuale della Commissione europea evidenzia una realtà per l'Italia che suggerisce qualche riflessione. Su 53 posizioni chiave nei gabinetti dei Commissari, il nostro Paese vanta appena 3 presenze, contro le 9 della Germania con 4 capi di gabinetto e 5 vice, e le 8 della Francia con 1 capo e 7 vice. Questo squilibrio non è solo numerico, ma riflette una fragilità politica che ci relega ai margini del processo decisionale europeo. Anche al di fuori dei gabinetti, la situazione resta contraddittoria. L'Italia è molto ben rappresentata a livello di personale nella Commissione Europea, con 4424 dipendenti italiani che costituiscono il 14,6% del totale. Una percentuale superiore ai belgi che giocano in casa con il 14,4%, ai francesi con il 10,7%, agli spagnoli con l'8,7% e ai tedeschi con il 6,7% (meno della metà degli italiani). Al contrario di quanto si possa pensare i funzionari italiani sono maggioranza in tutti i livelli della gerarchia burocratica. Eppure, questa forza numerica non si traduce in un'influenza reale anche perché sono spesso relegati a ruoli meno strategici e distribuiti in modo disomogeneo tra le Direzioni Generali. Se da un lato gli italiani nei vari direttorati dimostrano competenza, dall'altro manca ancora una strategia nazionale in grado di valorizzare questo potenziale. Francia e Germania, al contrario, avanzano compatti grazie a una regia ben definita e a una rete di funzionari posizionati in ruoli chiave. Questa frammentazione è particolarmente evidente nei gabinetti dei Commissari, dove si prendono le decisioni più importanti. Qui Germania e Francia garantiscono la loro presenza nei posti strategici, mentre l'Italia rimane spettatrice passiva. Nonostante ruoli di alto profilo come il fu Commissario vicepresidente esecutivo e Alto Rappresentante per gli Affari Esteri (Mogherini), o il Commissario all'Economia uscente (Gentiloni), il nostro Paese non riesce a trasformare la visibilità simbolica in un'influenza concreta. Una rara eccezione è stata il Commissario Tajani, che ha dimostrato di saper fare sistema e difendere gli interessi nazionali formando una squadra molto solida che continua a occupare posizioni rilevanti sebbene la spinta iniziale stia svanendo senza garantire un ricambio generazionale. La Presidenza von der Leyen ha scelto un collegio di Commissari debole, centralizzando il processo decisionale. Diventa quindi urgente posizionare figure chiave nei ruoli strategici che contano. Tuttavia, il vero problema è interno: l'Italia non ha mai avuto una regia nazionale capace di coordinare il capitale umano a sua disposizione. Questa debolezza strutturale ci impedisce di tutelare pienamente gli interessi strategici, dal Made in Italy alla Dieta Mediterranea, fino alle nostre filiere industriali.

Con l'attuale esercito di funzionari italiani nella Commissione, abbiamo un potenziale enorme che rischiamo di sprecare. Per invertire la rotta, servono interventi mirati, posizionando funzionari strategici nei gabinetti dei Commissari e nei vertici delle Direzioni Generali, facendo intelligence proattiva per anticipare decisioni e orientare le politiche europee, e creando una rete nazionale coesa che coinvolga istituzioni, politici e funzionari in una strategia comune per proteggere e promuovere gli interessi italiani.

L'Italia non può più permettersi di essere spettatrice. Le decisioni europee modellano il nostro futuro, ma senza una presenza strategica e coordinata continueremo a subire decisioni prese da altri. È tempo di diventare protagonisti, per noi e per l'Europa.

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