Roma. Dunque, abbiamo Enrico Letta il «sabotatore» che fa «il palo» a Conte e Matteo Salvini la «banderuola» che «parla come un pistolero»: questo il livello dei dibattito, questo il tono dell'ultima rissa estiva. Colpa senz'altro del caldo, che non favorisce raffinate analisi politiche, colpa forse anche dell'aria di ferie. Del resto succede sempre, tutti gli anni: arriva agosto, gli animi si surriscaldano, le maggioranze vanno in ebollizione e i governi, spesso, si squagliano. Poi certo stavolta non finirà così. Mario Draghi è più saldo che mai, concentrato sui prossimi dossier, e da Palazzo Chigi assistono con distacco al duello tra Lega e Pd, i carissimi nemici costretti a collaborare. «Normale dialettica tra partiti», dicono, e dietro si legge la benevola consapevolezza di un genitore che fa sfogare i bambini: mentre il premier cerca di tenere a galla l'Italia, loro dovranno pure inventarsi qualcosa per farsi notare.
Insomma, niente crisi estiva, almeno pare. Non andrà come nel 2019 quando, spinto dal vento dei sondaggi, Matteo Salvini al Papeete annunciò che nell'esecutivo gialloverde «qualcosa si è rotto». La svolta del bermuda però non gli portò i pieni poteri come chiedeva bensì un Conte bis con il Carroccio fuori dalle leve del comando. Il leader leghista puntava alle elezioni anticipate per capitalizzare il consenso accumulato, contando sulla sponda di Zingaretti, ma non aveva considerato la mossa del cavallo di Matteo Renzi.
Altre sfuriate agostane del passato invece erano andate in porto e avevano cambiato gli equilibri. Ricordate, per restare in ambito leghista, la «pazza» estate di Umberto Bossi nel 1994? A Palazzo Chigi c'era Silvio Berlusconi ma al Senatur l'alleanza stava stretta. Così eccolo attovagliato a Gallipoli davanti agli spaghetti con le cozze con Massimo D'Alema e Rocco Buttiglione, rieccolo a Roma a dividere con gli altri congiurati una scatola di tonno, pancarré e un boccione di Coca Cola, eccolo di nuovo in Costa Smeralda a sfoggiare la mitica canottiera bianca e a ricordare l'anima «popolana» del Carroccio. Dopo pochi mesi il Cavaliere dovette lasciare il posto a Lamberto Dini.
Ma il solleone non provocò sempre complotti e ribaltoni. Ad esempio, nella calda estate del 1983, agosto portò il famoso e sorprendente «patto della staffetta» tra Bettino Craxi e Ciriaco De Mita, siglato nella sacra cornice di un convento sull'Appia Antica. A mettere d'accordo i due grandi rivali fu Riccardo Misasi. Il compromesso prevedeva che il presidente della Repubblica Francesco Cossiga avrebbe dato l'incarico al segretario socialista, che poi a metà legislatura avrebbe lasciato la poltrona al leader dc. «Un tempo per te, un tempo per me». Non andò così.
Un'era geologica dopo, nell'estate del 1997, un'altra intesa che sembrava dover cambiare tutto e invece non cambio nulla, il patto della crostata: a casa di Gianni Letta, il Cav, D'Alema, Marini e Fini firmarono un accordo di non belligeranza tra centrodestra e centrosinistra per avviare le riforme istituzionali. Come è finita? Che le aspettiamo ancora.
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