Letta tra rivolte e retromarce. Il mese nero di un segretario in confusione

Una grana al giorno e pure di più. Imperizia e sfortuna, più la prima ma anche la seconda, e però Enrico Letta sta pilotando con mano sicura il Pd verso la sconfitta elettorale

Letta tra rivolte e retromarce. Il mese nero di un segretario in confusione

Una grana al giorno e pure di più. Imperizia e sfortuna, più la prima ma anche la seconda, e però Enrico Letta sta pilotando con mano sicura il Pd verso la sconfitta elettorale. I sondaggi non decollano, il segretario del partito aveva messo la freccia per passare Fdi, ma il sorpasso non c'è stato e il Pd e sempre dietro la Meloni. Anzi, le ha dovuto chiedere scusa perché con una delle sue gaffe, che ricordano quelle di Bersani, le ha detto di essersi «incipriata» per nascondere l'anima sovranista, poi si è accorto di essere scivolato sul tema ultrasensibile del sessismo e ha dovuto cospargersi il capo di cenere. È tutto molto complicato nella geografia di Letta: non che gli altri non abbiano i loro problemi, ma qui lo stillicidio è da esaurimento. Letta punta sui giovani con due risultati disastrosi: per costituire una dote a favore delle nuove generazioni, si inventa una mini patrimoniale che fa inorridire i moderati che erano tentati di votarlo; dopo aver fatto l'esame del sangue alla destra, scopre di avere in casa un capolista, Raffaele La Regina, con venature antisemite ed è costretto a metterlo all'angolo, mentre va sotto osservazione, con le stesse accuse, un altro astro nascente come Rachele Scarpa.

Si fa quel che si può, ma quel che si fa si fa male. Ecco l'accordo, sbandierato in mondovisione, con Carlo Calenda per sbaragliare le destre. Tripudio e applausi che durano il tempo di scoprire un altro accordo con Nicola Fratoianni che di Calenda è l'antitesi. Va bene che per vincere serve mettere insieme tutto e il contrario di tutto, ma c'è un limite. Certo, il leader di Azione che è una primadonna, ci mette del suo ma la coalizione si disfa. Calenda sbatte la porta, Letta rimane con il sinistro Fratoianni che ora però si defila dal collegio uninominale di Pisa dove andrà Ilaria Cucchi.

Insomma, fra il guardare a destra e il guardare a sinistra, il segretario sembra aver scelto una strana via mediana, un po' di qua e un po' di là. Che poi vuol dire scontentare gli uni e gli altri. Come pure sono irrequieti, eufemismo, quelli di Impegno civico. Di Maio atterra con i suoi nel gruppone di centrosinistra, nel Pd sale il mugugno per un boccone indigesto e che scombina le candidature, alla fine Laura Castelli, uno dei generali scappati dal Movimento a trazione Conte, dice «no grazie» all'essere paracadutata nell'uninominale a Novara.

Va bene puntare il dito contro il centrodestra che finge di essere unito, ma qui non c'è nemmeno la finzione. Si litiga e si sta a debita distanza, come per il Covid. Sembra un po' un remake della sfortunata campagna del Bersani 2013, partito con propositi trionfalistici e vincitore per una misera incollatura. Qui la partenza era più indietro, ma la progressione non c'è stata. Perfino l'arrivo di uno scienziato popolare del calibro di Andrea Crisanti rischia di trasformarsi in autogol. Come prima cosa, Crisanti bacchetta Roberto Speranza, ministro nel Conte 2 e ora nell'esecutivo Draghi ma prigioniero di «apparati lottizzati». Imbarazzante.

Come si fa a tenere insieme due personalità che sono in contraddizione in modo così plateale?

Alla fine la grande armata ha perso per strada troppi pezzi e non ha scelto una strada da percorrere. Non c' è più Calenda, non c'è mai stato Renzi, per ragioni che sfuggono e che forse attengono al rancore verso gli ex, non c'è più Conte che però evoca, e con lui parte della sinistra Pd, di potersi rialleare al più presto, immaginiamo subito dopo aver perso le elezioni. Il leader con gli occhi di tigre, mutuati da Rocky, era partito con il campo largo, poi il campo si è squagliato e l'immagine è stata pietosamente archiviata senza rimpianto. C'è una compagine variegata, che va da Cottarelli agli anti Nato, e lo spartito è un continuo susseguirsi di colpi di scena. Federico Pizzarotti doveva portare in dote una lista di sindaci, ma tanto per cambiare l'accordo si è rotto e l'ex primo cittadino di Parma e transitato con Renzi.

Mancava giusto una rissa

apparentemente calcistica, ma sarà davvero così? E puntualmente arriva con il mini terremoto nel Pd romano e altre dimissioni. Si aspettano, dopo il 25 settembre, quelle del segretario. Stefano Bonaccini scalda i motori.

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