«The winner», lo chiama Dario Franceschini incrociandolo davanti ai cronisti in Transatlantico. Enrico Letta si intesta politicamente il Mattarella bis: «Avevamo detto fin dall'inizio che per noi sarebbe stato il massimo».
La rielezione è la exit strategy migliore per un partito che si è lacerato, sia pur molto meno platealmente di altri, fino all'ultimo tra chi puntava su Draghi (a cominciare da Letta), chi su Casini, chi su Amato, chi sul bis. Solo che attorno alla folle partita che si è giocata in questi giorni, e soprattutto nell'ultima notte, restano molte macerie. «Emerge una crisi della politica, ora vanno fatte le riforme», dice Letta, a cominciare dal proporzionale.
Il centrosinistra è imploso. I rapporti tra Pd e Cinque Stelle (ala Conte) sono ai minimi storici, tra scambi di accuse e veleni. «Dovremo inevitabilmente fare una profonda riflessione su questo», dice Enrico Borghi, rivendicando invece «una forte cooperazione tra il Pd, Renzi, Di Maio e Leu». Il riferimento è a quello che proprio Renzi, rivendicando di averlo «bloccato», chiama «l'asse verde-giallo-nero» sul nome di Elisabetta Belloni, capo del Dis. Aggiungendo: «Sono intervenuto ieri sera, quando era praticamente fatta perché anche Enrico Letta aveva dato il via libera». La ricostruzione di quelle ore convulse è confusa, perché dal Pd si smentisce il cartellino verde del segretario alla «operazione donna» lanciata in contemporanea da Salvini e Conte, dopo un vertice a tre con Letta, e poi appoggiata da Meloni e Grillo: «Era solo uno dei nomi della rosa su cui si ragionava, nessun placet», spiegavano già nella serata di sabato dal Nazareno. Accusando Conte e Salvini di aver giocato sporco, mettendola in piazza e dandola per fatta.
Però è vero che nelle chat interne dei parlamentari Pd, sabato sera, si avvertiva che, un paio d'ore dopo la debacle del centrodestra sulla Casellati, «le trattative sono ripartite, i leader (Salvini, Conte e Letta) si sono visti, i nomi sono stati fatti». E che «per la prima volta potrebbe essere una donna a diventare presidente», perché «la combinazione delle priorità dei diversi partiti porta alla figura di Elisabetta Belloni».
Eppure, di lì a poco, è partita una fortissima manovra interdittiva. Certo non contro la persona di una prestigiosa altissima diplomatica, stimata da tutti e tirata in ballo senza il suo permesso in una partita tutta politica, ma per il suo ruolo delicatissimo di capo dei servizi. Prima Renzi, poi Leu e Forza Italia, poi - pubblicamente - il ministro degli Esteri Di Maio e - dietro le quinte - quello della Difesa Guerini. «Una operazione inqualificabile tentata da Salvini e Conte per accreditarsi come kingmaker, ma anche per destabilizzare tutto: governo e legislatura, con l'obiettivo di far fuori Draghi e magari ricostituire un'alleanza destra-Conte per il voto», dice un dirigente dem. Che spiega: «Il blitz sulla donna, costruito mediaticamente secondo la miglior tradizione populista» poteva avere un effetto devastante: «i gruppi Pd si sarebbero spaccati», lei rischiava di non essere eletta e di doversi dimettere, il governo sarebbe caduto». Uno scenario da cataclisma, «che poteva minare la stabilità Ue» proprio mentre Putin alza la sposta. Per fermarlo «abbiamo fatto muro con Renzi, Letta, Di Maio, Fi e centristi, e dettato il time-out».
Ossia la telefonata notturna di Enrico Letta a Berlusconi per avere luce verde al Mattarella bis, e l'avvertimento a Conte e Salvini: domani arriveranno oltre 400 voti su Mattarella, fermatevi. Resta il dubbio su quell'iniziale apertura Pd alla «prima presidente donna».
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