Letta in tilt: ora è bersagliato da tutti

Dopo la rivolta dem per le liste, il segretario finisce nel mirino anche del terzo polo

Letta in tilt: ora è bersagliato da tutti

Una campagna elettorale tutta in salita, quella del leader Pd Enrico Letta. Assai più difficile di quanto si aspettava fino a qualche mese fa, quando ancora pensava di potersela giocare ad armi quasi pari contro il centrodestra, con il vagheggiato «campo largo», sottobraccio a M5s, e raccogliendo il testimone del governo Draghi.

Tutto è precipitato in poche settimane, e con il senno di poi (ma anche senza) si può dire che era facile prevederlo: investire contemporaneamente su un' «agenda Draghi» fatta di serietà, concretezza, atlantismo, europeismo e riforme; e sull'alleanza con un movimento rozzamente populista, guidato da un ex premier ancora frustrato dalla caduta e animato da odio implacabile per il suo successore, era una scommessa poco realistica. E infatti è implosa malamente: Conte ha offerto alla destra l'occasione per far saltare il governo Draghi e correre al voto. Il campo largo è morto lì, ed è iniziato il tormentone delle alleanze, l'intesa e poi la rottura con Carlo Calenda che ha optato per il Terzo Polo, poi la tregenda delle liste. Che ha lasciato un cumulo di rancori interni, pronti a divampare il giorno dopo il voto.

Ora Enrico Letta si trova a dover combattere su molteplici fronti: contro gli avversari di sempre del centrodestra, ma anche contro gli ex alleati grillini e centristi, che fanno del Pd un bersaglio polemico costante. Martedì, in quel di Rimini, il leader dem ha dovuto fronteggiare i fischi della platea del Meeting contro la sua proposta di introdurre, in un paese con tassi di analfabetismo di ritorno inquietanti, l'obbligo scolastico «dai 3 ai 18 anni». «Sono rimasto molto colpito dal fatto che quella platea non abbia apprezzato la proposta che l'Italia cambi ed estenda il sistema di obbligo scolastico - ha commentato - ma la ripropongo». Ieri però è stato il Terzo Polo a rinfacciargliela: «L'idea dell'asilo obbligatorio non solo è in stile sovietico - tuona la capolista ed ministra Mara Carfagna - ma anche fuori dalla realtà: in molti comuni del Sud l'offerta di asili non arriva al 15%?». Replica il vicesegretario dem Peppe Provenzano: «Garantire il diritto allo studio, e specie al Sud, sarebbe da Urss? Questa non è serietà, è pessima propaganda». Rincara Anna Ascani: «Non sapete di che parlate». Intanto Carlo Calenda attacca sul fronte energetico, su cui i terzopolisti sono effettivamente gli unici ad avere un programma chiaro e dettagliato, mentre gli altri brancolano nel vago. E Calenda picchia sul tallone d'Achille dem: il rigassificatore di Piombino, su cui i dem sono divisi: «Non si capisce se il Pd vuole farlo o no. Continuano a non decidere, in modalità 'ma anche'». Intanto gli ex amici M5s accusano: «Letta e Meloni litigano per finta», proclamano, in realtà «si ammirano» e sono d'accordo su tutto: dalla «manomissione del reddito di cittadinanza» al «sostegno all'Ucraina» invece che al macellaio Putin, per cui si tifa in casa 5S. Il renziano Faraone colpisce sul pasticciaccio Sicilia, dove per l'alleanza con M5s, poi saltata comunque, i dem hanno escluso dalle liste dirigenti «indagati»: «Il populismo giudiziario si è impossessato del Pd».

Ma è il padre dell'Ulivo Arturo Parisi a sintetizzare il problema, quando Letta twitta: «Ascolto il discorso di grande orgoglio di Draghi, e poi penso che Salvini, Berlusconi e Conte si sono uniti a Meloni per farlo cadere». «Letta ascolta Draghi - chiosa Parisi - e si chiede: ma perché non ho lavorato a una coalizione che unisse tutti e solo, tutti e solo, quelli che hanno difeso il lavoro di Draghi?».

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