Il pre-vertice dei Socialisti europei a Bruxelles offre a Elly Schlein (nella foto) l'occasione per ritagliarsi un ruolo da anti-Meloni anche nella capitale della Ue. E le regala una ribalta parallela a quella della premier, al fianco di leader e capi di governo, per farsi festeggiare come nuova speranza della famiglia socialista: la segretaria del Pd, reduce dal buon risultato di Europee e amministrative, fa sapere di aver ripetuto il suo slogan preferito («Stiamo arrivando») anche nel summit coi capi Pse, e di essere stata accolta da un grande applauso.
Ma gli applausi sono una cosa, la politica un'altra: né lo spagnolo Sanchez (assente per lutto) né il tedesco Scholz, o tanto meno il portoghese Costa, sembrano intenzionati a seguire fino in fondo Elly sul veto anti-Meloni da lei dettato: «Il Pd è del tutto intenzionato a far valere il proprio peso - annuncia in mattinata -. L'abbiamo fatto in campagna elettorale, firmando un impegno a dire no a qualsiasi tipo di alleanza con il gruppo Ecr, guidato da Giorgia Meloni. Per noi non può essere quella la strada, l'abbiamo chiarito: è un no no, non si può fare nessuna alleanza con loro. Se bisogna allargare si guardi ai Verdi».
Ma in ballo c'è l'accordo complessivo con Ppe e Renew sui famosi «top job», e i numeri ballerini per il bis di Ursula von der Leyen (e a cascata per gli altri designati, incluso appunto Costa) nell'aula di Strasburgo. E in Italia Schlein è all'opposizione, e Scholz o Sanchez al governo: i colleghi di socialismo europeo, insomma, capiscono bene che alla segretaria Pd non piaccia di ritrovarsi nella stessa maggioranza europea con la premier del Belpaese, ma alla fine la Realpolitik prevale. Così, fin dal mattino, Schlein si trova a fare i conti con il rischio serio (speculare a quello di Meloni) di ritrovarsi a votare insieme alla sua antagonista. Con gli alleati Pse che brigano alle sue spalle per far rientrare persino lo slovacco Fico (alleato in patria con l'estrema destra) nel Pse, onde aumentare i voti, anche incassando le indicazioni pro-Meloni del Ppe.
Schlein intanto si occupa attivamente della distribuzione delle poltrone che spettano al Pd. E punta a utilizzarle per promuovere i suoi fedelissimi e addomesticare la residua opposizione interna. Così ha ceduto la presidenza del gruppo S&D, che numericamente le spettava, agli spagnoli. In cambio ha piazzato la sua Camilla Laureti come vice, che potrebbe a metà legislatura subentrare alla presidenza: «Questo è l'accordo che abbiamo raggiunto», assicurava due giorni fa. Peccato che la riconfermata capogruppo iberica Garcia Perez, a domanda diretta in conferenza stampa, non abbia confermato il futuro cambio della guardia a favore del Pd: «Naturalmente gli italiani avranno un'ottima rappresentanza, come tutti gli altri», ha svicolato. Elly vuole anche due presidenze di Commissione, una per il fedelissimo Alessandro Zan, mentre il posto di capo-delegazione Pd lo ha promesso a Nicola Zingaretti, e sogna di giubilare anche l'ex antagonista Stefano Bonaccini dandogli la vice-presidenza del Parlamento. Togliendosi così di torno altri due «cacicchi».
Ma l'ala riformista (13 eletti su 21) promette battaglia: per le commissioni si scaldano campioni di preferenze come il barese Decaro e il bergamasco Gori. Mentre per la vice-presidenza c'è la candidatura di peso dell'uscente Pina Picierno.
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