L'exploit azzurro in Liguria lancia Toti il "federatore"

Il governatore gongola e quasi si autocandida leader: Fi guardi al suo interno e valorizzi le risorse vincenti

L'exploit azzurro in Liguria lancia Toti il "federatore"

È l'uomo del giorno e non fa nulla per nasconderlo. Neppure potrebbe: né per il ruolo giocato nel passato, né per quello presente. Al futuro ci pensa un'indole che dell'ottimismo ha fatto religione. Volendo usare le parole di una Giorgia Meloni al culmine dell'estasi per la vittoria genovese, «Giovanni è una risorsa». Non un solista, non un uomo solo al comando, ma uno che «crede nel gioco di squadra». Una specie di Sarri, se vogliamo.

Giovanni La Risorsa Toti si gode perciò il suo miracolo, il «miracolo della Lanterna». Qualcosa che sta tra Alì Babà, che sfrega-sfrega ed evoca il Genio, e l'uovo di Colombo, ovvero l'ovvia considerazione che uniti si vince. Eppure ha funzionato e funziona, come ricorderà un tappeto rosso di 800 metri che presto sarà steso tra piazza De Ferrari, dove c'è la Regione, e palazzo Tursi, sede del Comune. La prima, entrata in un paio d'anni nel novero delle regioni meglio amministrate d'Italia e il secondo, il Comune della Superba, oggi «rinato» (lui direbbe «liberato») dopo una settantina d'anni di incontrastato dominio delle forze di sinistra (con la parentesi ventennale di un sindaco dc).

Conteso da ogni tivù e quotidiano della piazza, il governatore che ha inventato il «modello Liguria» è prodigo di spiegazioni per ciascuno dei microfoni. «Il centrodestra trovi ora la strada per evolvere almeno verso una federazione - dice -. Non c'è altra soluzione che l'unità. Non l'ho inventata io, ma un certo Silvio Berlusconi, negli anni». Qual è il segreto? «Noi non rottamiamo nessuno, non siamo manichei. Facciamo patti chiari con l'elettorato, che pure è sempre stato molto prudente nei nostri confronti, in Liguria. Ma ora, dopo la Regione e Savona, da ieri governiamo anche La Spezia e Genova... Guardate che non era mai successo, nemmeno nei momenti d'oro del Pdl». Quasi si fa imbonitore di se stesso, l'ex direttore di Studio Aperto e del Tg4 scoperto e tirato su da Berlusconi in persona. La compattezza della squadra è il suo cavallo vincente: «Centrodestra unito vuol dire partiti che dialogano, senza nessuno strappo». Toti ha quel tocco del mediatore che piace ai suoi interlocutori, dell'allenatore forse non alla Sarri, che i suoi fuoriclasse li ha, bensì alla Mazzone. O alla Reja. Spera che «il mio partito sappia guardare al proprio interno e valorizzare al meglio le risorse che hanno reso possibile questa vittoria». Se non è un'autocandidatura, è perché lui stesso dice di non credere ad «alchimie strane, a uomini della provvidenza: non c'è posto per i vari Calenda, Montezemolo o chi per loro. Abbiamo tutte le risorse al nostro interno, dobbiamo solo farne tesoro». Il Berlusconi pluridecorato presidente del Milan sarebbe andato a nozze, gli avesse affidato la squadra. Niente papi neri o goleador tranieri, solo gente del vivaio, fatta e cresciuta in casa.

Certo, la ricetta della concretezza è suggestiva. Anche se per funzionare ha bisogno pur sempre del presidente (ma quello di Arcore) che si divida tra salotti televisivi e interviste sui giornali. E forse di un sistema elettorale che al momento non coincide con i desideri berlusconiani. Toti dice apertamente che «Renzusconi sarebbe una cosa contronatura» e crede nel maggioritario, perché favorisce il dialogo prima di stabilire i rapporti di forza (nonché la concorrenza) tra le componenti della coalizione. Ci si mette d'accordo su un candidato e si cementa lo «stare insieme». Dovendo magari fare gli straordinari per contenere l'irruenza legaiola d'un Salvini o l'agilità di una Meloni truccata da Le Pen.

Ma Toti è un mediatore nato: d'altronde, dice, «il maggioritario Berlusconi ce l'ha scolpito nel dna da 22 anni e al netto di qualche mossa tattica non credo che sia diventato un convinto proporzionalista». Inguaribile ottimista, appunto.

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